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martedì 30 marzo 2010

Palazzo San Gervasio : Teatro: Miseria e Nobiltà



Scritto da Amministratore
Domenica 28 Marzo 2010 10:48

La Compagnia Teatrale "Chiuso per Ferie" presenta "Miseria e Nobiltà" una commedia divisa in 3 atti.
Lo spettacolo si svolgerà sabato 10 Aprile 2010 alle ore 20.00 presso l'auditorium dell' I.T.C.G. "C. d'Errico" di Palazzo San Gervasio.
L'evento è organizzato dall' AVIS comunale di Palazzo San Gervasio.

sabato 27 marzo 2010

Palazzo San Gervasio :Festa della pentolaccia in Canada

Scritto da A.S.
Mercoledì 24 Marzo 2010 13:54

TORONTO - La tradizione si ripete. Come ogni anno il Club Palazzo San Gervasio ha organizzato la “festa della pentolaccia”.
Al Terrace Banquet Centre c’erano oltre 400 persone, tutte felici di trascorrere una serata assieme all’insegna del buon cibo e di tanto divertimento. «La pentolaccia è una tradizione molto sentita - dice il presidente in carica da sei anni Danny Montesano - un tempo le famiglie si riunivano in campagna per rompere un recipiente di creta (la pentolaccia) che veniva riempito di frutta secca, caramelle e cioccolate e altro ancora. La pentolaccia chiamata anche pignatta veniva posta ad un paio di metri da terra e gli adulti, bendati e armati di bastone, dovevano cercare di romperla per il divertimento dei più piccini». Era un pretesto per ritrovarsi, cantare, ballare e mangiare la festa della pentolaccia. «Anche noi la riproponiamo per trascorrere una serata divertente - aggiunge Montesano - abbiamo quindi organizzato due pentolacce, una per gli adulti e una per i bambini che hanno riso come matti». C’erano ben 40 ragazzini alla festa oltre a un centinaio di giovani di età compresa tra i 25 e i 35 anni: «Tra i presenti desidero ricordare il giudice Roberto Roberti e il deputato liberale federale Joe Volpe - aggiunge Montesano che è membro del club fin dalla fine degli anni Settanta - è stata una delle feste più belle che abbiamo mai organizzato». Altri momenti di incontro del Club Palazzo San Gervasio sono il tesseramento, il grande picnic di luglio e la festa prenatalizia: «Sono momenti di aggregazione ai quali i nostri soci, che sono circa 140, partecipano con entusiasmo - conclude il presidente Montesano - mantenere le tradizioni e divertirsi è un connubio vincente».
Fonte: Corriere Canadese Online

Palazzo San Gervasio :Festa della pentolaccia in Canada

Scritto da A.S.
Mercoledì 24 Marzo 2010 13:54

TORONTO - La tradizione si ripete. Come ogni anno il Club Palazzo San Gervasio ha organizzato la “festa della pentolaccia”.
Al Terrace Banquet Centre c’erano oltre 400 persone, tutte felici di trascorrere una serata assieme all’insegna del buon cibo e di tanto divertimento. «La pentolaccia è una tradizione molto sentita - dice il presidente in carica da sei anni Danny Montesano - un tempo le famiglie si riunivano in campagna per rompere un recipiente di creta (la pentolaccia) che veniva riempito di frutta secca, caramelle e cioccolate e altro ancora. La pentolaccia chiamata anche pignatta veniva posta ad un paio di metri da terra e gli adulti, bendati e armati di bastone, dovevano cercare di romperla per il divertimento dei più piccini». Era un pretesto per ritrovarsi, cantare, ballare e mangiare la festa della pentolaccia. «Anche noi la riproponiamo per trascorrere una serata divertente - aggiunge Montesano - abbiamo quindi organizzato due pentolacce, una per gli adulti e una per i bambini che hanno riso come matti». C’erano ben 40 ragazzini alla festa oltre a un centinaio di giovani di età compresa tra i 25 e i 35 anni: «Tra i presenti desidero ricordare il giudice Roberto Roberti e il deputato liberale federale Joe Volpe - aggiunge Montesano che è membro del club fin dalla fine degli anni Settanta - è stata una delle feste più belle che abbiamo mai organizzato». Altri momenti di incontro del Club Palazzo San Gervasio sono il tesseramento, il grande picnic di luglio e la festa prenatalizia: «Sono momenti di aggregazione ai quali i nostri soci, che sono circa 140, partecipano con entusiasmo - conclude il presidente Montesano - mantenere le tradizioni e divertirsi è un connubio vincente».
Fonte: Corriere Canadese Online

giovedì 25 marzo 2010

Palazzo San Gervasio: caso Elisa Clabs

IL CORPO DI ELISA CLAPS SCOPERTO DA SACERDOTI MESI FA
Venne trovato da alcune donne delle pulizie, che comunicarono la notizia ai religiosi.
ANSA- Il cadavere di Elisa Claps fu scoperto nel sottotetto della chiesa della Santissima Trinità di Potenza alcuni mesi prima del ritrovamento ufficiale avvenuto il 17 marzo. La notizia, anticipata dal quotidiano 'La Provincia Pavese', ha trovato conferme in ambienti giudiziari. La scoperta fu fatta da alcune donne delle pulizie, che comunicarono la notizia ai sacerdoti della chiesa.
Il ritrovamento del cadavere, riportano la Provincia Pavese ed altri quotidiani del Gruppo Agl-Espresso, avvenne a gennaio. Fonti giudiziarie confermano inoltre che a scoprire il corpo di Elisa furono due donne, chiamate a fare le pulizie nel sottotetto. Interrogate, le donne hanno fatto mettere a verbale che una volta scoperti i resti avvisarono immediatamente sia il parroco della Santissima Trinità, don Ambroise Apakta, conosciuto da tutti a Potenza come don Ambrogio, che il suo vice, Don Vagno.
Sul perché del silenzio dei sacerdoti, che sono stati sentiti a lungo in questi giorni, sta indagando la procura generale di Salerno, che ha avocato a sé l'inchiesta. Un' ulteriore conferma sulla tempistica del ritrovamento sarebbe inoltre arrivata anche dal vescovo di Potenza, monsignor Agostino Superbo, durante un colloquio con il questore.

Fonti Agenzia Ansa

domenica 21 marzo 2010

Palazzo San Gervasio : Più sicurezza





Scritto da Paolo Palumbo
Domenica 21 Marzo 2010 21:00

Telecamere a Piazzale d’Errico. Obiettivo: la sicurezza dei luoghi e delle persone.
Maggiore sicurezza in vista per i cittadini di Palazzo. A garantirla l’Amministrazione Comunale che, per prevenire reati ai danni di strutture e di residenti o visitatori, ha effettuato l’acquisto di sei telecamere e di un sistema di videosorveglianza per monitorare il territorio comunale. L’investimento complessivo, di 51.700 euro, è stato interamente erogato dal Ministero dell’Interno ed è stato, inoltre, l’unico progetto finanziato in Basilicata nell’ambito delle iniziative volte al potenziamento della sicurezza urbana.
Il monitoraggio interesserà Piazzale Vincenzo d’Errico.
Questa iniziativa rientra nel quadro generale dell’esecutivo cittadino di compiere atti ed interventi che migliorino la quotidianità dei cittadini. L’installazione del sistema di sicurezza sarà uno strumento utile alle autorità preposte, che ringrazio per l’impegno profuso quotidianamente per la comunità, di sanzionare eventuali episodi lesivi dei diritti dei cittadini o comunque tesi a danneggiare beni destinati alla pubblica fruizione.
L’obiettivo che l’Amministrazione si pone, con tale progetto, è molteplice e mira a contrastare fenomeni di bullismo, danneggiamento e vandalismo che sono stati segnalati, soprattutto negli ultimi tempi, in diversi punti del territorio urbano e a sanzionare reati che feriscono l’immagine del nostro paese.
Sono certo che questa iniziativa sarà apprezzata dalla nostra comunità visto che è tesa a soddisfare quell’esigenza di maggiore sicurezza e controllo del territorio che rappresenta, senza dubbio, una richiesta molto sentita e generalizzata in tutto il Paese e quindi non limitata soltanto al nostro territorio.
Questo rimedio di carattere tecnico non è l’unico progetto attraverso il quale l’Amministrazione Comunale intende sviluppare un sistema di protezione. Mi preme rimarcare che, anche se è importante l’azione di tutela, è altrettanto fondamentale quella educativa. Il dover ricorrere all’uso delle telecamere denuncia, infatti, un senso civico che deve ancora crescere. L’impegno di tutti deve pertanto concentrarsi sul trasmettere valori educativi importanti.
È per questo motivo che sono previsti anche interventi di natura sociale. Tra quest’ultimi figurano iniziative da predisporre in collaborazione con gli istituti scolastici, l’ASL, le Forze dell’Ordine, le associazioni ed i genitori, il cui obiettivo è di diffondere la cultura della legalità e del rispetto e per contrastare il fenomeno del “bullismo”. È questo un aspetto di notevole importanza che mi fa piacere sottolineare e che conferma ulteriormente l’attenzione e l’impegno con cui questa Amministrazione Comunale guarda da sempre ai temi della legalità e della solidarietà sociale.
Tratto da Libero Accesso

PALAZZO SAN GERVASIO: LA MITICA STAZIONE FERROVIARIA



C'è un mito che occupa un posto d'onore tra i ricordi più vivi della mia vita, avendone scandito i passaggi più significativi e cruciali: la stazione di Palazzo San Gervasio.

Della sua esistenza ne sentii parlare quando nel 1961 vi si recò mio padre per prendere il primo della serie di treni che lo avrebbero condotto al complesso di baracche montate ad Haltingen, provincia di Baden, Germania, dove lo stavano aspettando altri "gastarbeiter" (ospiti del lavoro).

Per diversi anni, sia alla partenza che al ritorno, non si era mai data occasione di accompagnarlo alla stazione, o di andarlo a prendere.

Quando, alla partenza, doveva recarsi alla stazione di Palazzo San Gervasio, egli prendeva sempre l'autobus: ce n'erano due che passavano al pomeriggio da Banzi, utili per prendere il treno, ma mio padre sceglieva sempre il primo, forse non tanto per essere più tranquillo, quanto per non prolungare l'agonia della partenza, per risparmiare a noi figli lo sforzo sovrumano di contenere le lagrime, che spingevano dietro le palpebre per sgorgare come rigagnoli di fontanelle.

Al ritorno, poi, sapevamo sì il giorno in cui sarebbe arrivato, ma non l'ora, sicché l'attesa del suo arrivo poteva prolungarsi tutta la giornata, anzi, delle volte è successo anche che si andasse a letto e che solo in piena notte sentivi sbattere una portiera di macchina che annunciava il suo arrivo: all'epoca mica c'erano i cellulari coi quali potevi comunicare l'andamento del tuo viaggio! Anzi, erano pochissimi anche quelli che avevano il telefono fisso.

Anche in questo campo, come per la televisione, la famiglia Tafaro è stata una delle prime a dotarsene, sicché a me, ad esempio, era agevole, una volta sceso alla stazione di Rocchetta San Antonio, avvertire dell'imminente arrivo alla stazione di Palazzo San Gervasio, in modo che, se non c'era nessun autobus che vi passasse a breve, si recapitasse qualche parente per venirci a prendere.

Una volta, però, il telefono si usava con molta parsimonia e, volendo risparmiare qualche gettone (allora gli apparecchi telefonici pubblici funzionavano con appositi gettoni), ci si metteva d'accordo prima su come fare le comunicazioni con segnali cifrati. Così, per esempio, ci si accordava che se si faceva squillare il telefono una volta, ciò significava che si era arrivati a Rocchetta, se lo si faceva squillare due volte, ciò significava che si era arrivati a Palazzo. Ma accadeva che chi doveva stare in ascolto del telefono si allontanasse un attimo proprio nel momento in cui il telefono squillava ed allora i messaggi venivano decifrati malamente, con conseguente incazzatura di chi ne subiva poi i disagi.

Arrivò il tempo in cui anch'io potetti vedere la stazione di Palazzo Sano Gervasio. Ciò accadde, se non ricordo male, nell'estate del 1963, ma non per andare a prendere il treno per recarmi in qualche luogo di vacanza, bensì perché lì nei paraggi c'era una masseria il cui padrone coltivava tabacco ed io, insieme ad altri banzesi, vi andammo a fare la raccolta. Ci venivano a prendere al mattino in macchina ed il padrone (mi pare si chiamasse Molino o forse Palermo) stava attento a selezionare i soggetti più produttivi, in modo da ammortizzare bene le spese del noleggio.

Da quella masseria si vedeva non molto lontana la stazione e tutti i treni che vi transitavano, littorine e convogli merci: talvolta mi soffermavo a contare tutti i vagoni che componevano questi ultimi, esclamando dentro di me: "mamma mia quanti!".

Poi accadde, durante la frequentazione della ragioneria a Palazzo San Gervasio, che una giorno - come almeno una volta fanno tutti i ragazzi - marinai anch'io la scuola: andando a zonzo qua e là, finimmo con l'arrivare proprio in stazione ed allora, finalmente, potetti vedere da vicino quel luogo mitico: tutto era ordinato, pulito, lo spazio circostante adornato di piante ed aiuole, vi si respirava un'aria quasi religiosa da convento.

Successivamente, quando si è giunti a possedere qualche automobile in famiglia, si ebbe sempre più motivi, alternati di tristezza e gioia, di recarsi in quella stazione per accompagnare od andare a prendere qualcuno, padre o fratello, finché le partenze e gli arrivi non furono effettuati in conto proprio, il che cominciò per me verso metà settembre del 1971, allorché partii per Bologna a fare gli studi universitari.

Un arrivo in particolare mi piace ricordare qua ora. Si tratta di una volta che, facendo il militare nel 1976, giunsi alla stazione di Palazzo San Gervasio con l'ultimo treno verso le 22,30. Non c'era nessuno che potesse venirmi a prendere, né, a quell'ora, poteva esserci più alcun mezzo pubblico.

Allora feci a piedi tutto il tragitto dalla stazione di Palazzo San Gervasio a Banzi, peraltro con una borsone alquanto pesante. All'uscita dal paese, nei paraggi del distributore di benzina, mi imbattei anche in un gruppo di cani randagi che mi fecero non poca paura. Per fortuna uno di essi mi si avvicinò con spirito non ostile, io gli feci a mia volta qualche gesto amichevole ed esso mi accompagnò nientedimeno fino a casa: che bella passeggiata fu quella notte in compagnia del cane e delle stelle: spettri e fantasmi si tennero tutti ben lontani da me. Un po' di apprensione mi venne solo quando dovetti passare davanti alla lapide del "milanese", il cui spirito sembrava essere lì pronto per soffiarmi addosso.

A Banzi giunsi verso l'una, cercai di svegliare nel modo più soft possibile i miei genitori, lanciando qualche sassolino contro la tapparella della camera e, che gioia grande fu per loro svegliarsi all'improvviso per abbracciare il figlio caporal maggiore!

Essi ritornarono subito a letto, io un po' più tardi, non prima di essermi rifocillato di ciò che trovai in frigorifero, in particolare mi feci una scorpacciata di carne di coniglio in gelatina insaporita d'aceto e fave cotte.

Non mi ricordo più ora quando sia stata l'ultima volta ad essere salito o sceso dal treno alla stazione di Palazzo San Gervasio ... forse ciò è avvenuto solo in poesia.

A ricordarmelo ci ha pensato qualche giorno fa Antonio Scardinale, che mi ha scritto la lettera sotto riportata, con la quale è venuto a toccarmi un nervo ancora molto sensibile, che mi ha provocato la fitta di tanti ricordi, alcuni dei quali ho voluto raccontare in questa pagina.

Giovedì 11 settembre 2008
Da: "Antonio Scardinale" < scardinale@inwind.it Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. >

giovedì 18 marzo 2010

Palazzo San Gervasio : MASCHITO

CORDOGLIO PER LA MORTE DI DONATO BARBANO DECANO DEI GIORNALISTI LUCANI

Scritto da Antonio Scardinale
Mercoledì 17 Marzo 2010 23:05

Nell’adorata Chiesa parrocchiale di Sant’Elia Profeta, affrescata da pittori apuli e napoletani del 700 si sono svolti, nel pomeriggio i funerali di Donato Barbano, decano dei giornalisti del Vulture e della Basilicata. Alla veneranda età di 87 anni , Donato - a cui ci legava una reciproca stima ed amicizia, anche in qualità di presidente onorario dell’associazione culturale “Basilicata Arbereshe” - ci lascia con la sua eredità di pioniere dell’informazione, dai tempi dei “Fuori Sacco” del “Roma” al radiofonico “Corriere della Basilicata” diretto da Mario Trufelli e con Nanni Tamma la voce del “Lucaniere” . Sino a pochi mesi fa, quando gli facemmo la consueta visita nella sua abitazione di via Paolo Emilio Savino, andava spesso a Roma, per assolvere all’importante e gravoso, per lui reduce da un serio incidente stradale, impegno negli uffici della Federazione Europea dei Giornalisti di cui è stato a lungo presidente nazionale. Barbano durante la sua attività professionale si è fortemente battuto attivamente affinchè la zona dell’Alto Bradano uscisse decisamente dall’isolamento stradale, informativo e culturale (sua l’idea di dare vita a “Strapalazzo” periodico che usciva a Palazzo San Gervasio).Donato Barbano, per via del suo schietto attaccamento alla cultura e lingua Arbereshe, non perdeva occasione -in trasmissioni e reportages nazionali- di evidenziare il tesoro della “cultura immateriale” rappresentato dalle tradizioni popolari e dalla paremiologìa arbereshe. Per telefono, mi lasciava sempre con l’arguzia antica e con affetto salutandomi con il suo immancabile sorriso sotto i baffetti , “Me shendet” .
Fonte: Lucanianews24

Palazzo San Gervasio : Il Piccolo Musicista



Scritto da Angela Lamanna
Mercoledì 17 Marzo 2010 19:45

Patrick Pellico è un bambino di 5 anni, che, da dall’età di due anni, coltiva un interesse, quello per la musica, che lo coinvolge totalmente. Con grande padronanza il piccolo musicista, si esibisce alla batteria, cantando spesso in lingua inglese. “La passione per la musica, – dichiara il fratello maggiore Christian, che di anni ne ha solo 16 ed è il maggiore artefice della passione per la musica di Patrick – nata per gioco, grazie all' influenza trasmessagli dalla vivacità della nostra famiglia, è ormai divenuta per lui una componente fondamentale, per il suo divertimento, e per impiegare in modo diverso il tempo. Tutto è partito dal desiderio di imitare i suoi idoli musicali, i Green Day, le cui canzoni accompagnano ancor'oggi il suo carattere ribelle ed energico che si manifesta nel suo talento. Patrick ha un'ottima concezione del ritmo, che dimostra attraverso la sua bravura nel suonare la batteria, ma anche un' incredibile energia nel cantare e nell'animare, con incitazioni del tipo "Alzate le mani!", i suoi ascoltatori nelle manifestazioni in cui spesso si trova coinvolto. Per lui qualunque oggetto produca un suono è uno strumento e non di rado usa, ad esempio, colori a matita per percuotere a ritmo di musica qualunque superficie provochi un suono; Quando Patrick sa di doversi esibire in pubblico veste come il suo musicista preferito, Billie Joe Armstrong, nonché cantante e chitarrista dei Green Day. Quindi il suo abbigliamento in queste occasioni è composto da camicia e pantaloni di color nero ed una cravatta rossa. Quando canta preferisce sempre esibirsi accompagnato da una chitarra (questa volta finta) che simula di suonare cercando di imitare il suo idolo.” Un talento naturale il suo, che grazie alla sensibilità della sua famiglia, il piccolo coltiva in attesa di diventare grande e di condividere con un pubblico sempre più numeroso la sua passione per la musica.

sabato 13 marzo 2010

Palazzo San Gervasio:Guerra dei lampioni



Scritto da Franco De Florio
Venerdì 12 Marzo 2010 14:02

PALAZZO SAN GERVASIO - L’illuminazione non è più quella di una volta. L’impianto è obsoleto e la gente protesta chiedendo al Comune di porre rimedio. Ma il governo locale per tutta risposta spedisce in contrada «Cattedra» gli operai che invece di riparare i pali malfunzionanti mettono in atto il proposito di trasferire l’impianto in altra area del paese. E qui apriti cielo. La dura contestazione dei residenti blocca l’iniziativa del Comune di trasferire i pali ad alimentazione fotovoltaica. È successo a Palazzo San Gervasio nel Potentino. I fatti. In mattinata gli abitanti della zona hanno visto arrivare gli operai del Comune che hanno posizionato il cestello vicino ai lampioni per eseguire dei lavori. Alla loro vista tirano un sospiro di sollievo. «Finalmente - hanno commentato - le nostre proteste hanno trovato accoglimento. Dopo tante nostre insistenze e reclami sono venuti a sostituire gli accumulatori dei pali elettrici che ormai avevano perso nel tempo tutta la loro energia». Erano anni, infatti, che i cittadini sollecitavano le autorità locali che provvedessero al ripristino delle lampade e che le stesse riprendessero a funzionare e illuminare quelle zone. Ma l’improvvisa e insperata gioia in un attimo si trasforma in una beffa colossale. I cittadini hanno constatato subito che gli operai non stavano intervenendo per la manutenzione delle lampade fotovoltaiche ma stavano smantellando l’intero complesso per poi portare via i pali. Pare che gli stessi debbano essere impiegati per illuminare la nuova zona dove a giorni andranno ad abitare gli assegnatari delle nuove case popolari. La protesta si è fatta rabbiosa. Il tutto per «convincere» gli operai a desistere dal loro intento. Sul posto per riportare la calma arrivano i carabinieri. C’è anche qualche avvocato. Intanto dopo la protesta i lavori vengono sospesi. Per il momento i pali non sono stati tutti rimossi. C’è ancora speranza quindi, che la contestazione metta fine a questo proposito del Comune perpetrato ai danni dei cittadini che hanno diritto ad usufruire dell’illu - minazione pubblica. «Ci sono tanti altri pali inutilizzati in altre zone rurali che smantellate non arrecherebbe nessun danno - dicono alcuni dei residenti -. Ci sono dei lampioni inutilizzati in contrada Piani, alla Fontana del Fico, perché smantellare questi che una volta riparati servono una vasta zona di abitazioni con cittadini che abitano stabilmente in queste case?». «Qualcosa non quadra in questa faccenda - dice un latro dei contestatori - sembrerebbe voler essere una ritorsione verso qualcuno che abita in questa zona, quasi un dispetto».

Fonte: La Gazzetta Del Mezzogiorno

mercoledì 10 marzo 2010

Palazzo San Gervasio:Bernadette e Lourdes: nuova edizione in libreria

martedì 9 marzo 2010

Per celebrare i 125 anni di storia e il recente pellegrinaggio a Roma dell'Hospitalité Notre Dame di Lourdes, Reverdito pubblica in via eccezionale un prezioso documento dedicato alla veggente più famosa
Il 2010 è un anno significativo per Lourdes, in particolare per una delle realtà che hanno contribuito, grazie all'impegno dei suoi volontari, ad accrescerne la grandezza. Nella località mariana più celebre al mondo si respira un'atmosfera unica, dove il dolore di milioni di malati e pellegrini trova conforto nella preghiera e nei gesti amorevoli degli hospitalier, persone che hanno fatto dell'aiuto e del servizio una scelta di vita e la meta di un lungo cammino di preparazione. Con questo spirito l'Hospitalité Notre Dame di Lourdes opera da 125 anni accompagnando le folle in preghiera con un sostegno che va da piccoli gesti, sorrisi a cure e necessità ben più complesse. Un impegno prezioso che ha contributo a trasformare l'associazione in una delle realtà più solide e amate nel panorama del volontariato cattolico, come testimoniano le parole di affetto e vicinanza di papa Benedetto XVI nel corso del recente pellegrinaggio compiuto a Roma da una delegazione dell'Hospitalité.
Un viaggio per celebrare degnamente i primi 125 anni di storia dell'associazione e per rinforzare il profondo legame che salda strettamente Lourdes alla Città Eterna, culminato nell'udienza con papa Benedetto XVI e nella visita dei luoghi più significativi della storia della cristianità italiana, sulle tracce degli apostoli Pietro e Paolo, nell'affascinante cornice storica della Capitale.
Il pellegrinaggio a Roma è stato uno degli appuntamenti più importanti dell'anno, che prosegue con un ricco calendario di eventi che andranno a costituire un vero e proprio "Giubileo dell'Hospitalité". Le celebrazioni per i 125 anni e la visita a Roma per un'esperienza di fede e preghiera vogliono essere un "ritorno alle origini"della cristianità, e al contempo un ricordo degli originari prodigi che hanno trasformato la grotta di Massabielle nel fulcro della devozione mariana mondiale. Come Gesù ha scelto Pietro e Paolo come depositari della sua Parola rendendola eterna ai nostri occhi, la Vergine tra questi monti ha scelto la piccola Bernadette. La più umile del popolo, una semplice pastorella che grazie alla purezza del suo cuore, alle parole e ai gesti di fede della sua breve vita, è l'espressione più autentica della grandezza del divino e dei prodigi che ancora oggi, ogni giorno, si compiono in questo luogo ricco di suggestioni.
Con questo spirito torna oggi "Bernadette e Lourdes", il libro scritto da Michele Cennamo e Franco Vaudo, alla sua quarta edizione e pubblicato dalla casa editrice Reverdito. Un prezioso volume che si propone di cogliere gli aspetti più originali e inediti della vita della santa francese, al di là di analisi e agiografie standardizzate.
L'umile pastorella è stata oggetto nel corso dell'ultimo secolo di grande attenzione, che si traduce in un'impressionante serie di documenti sulla sua vita e sui prodigi dei quali è stata eccezionale testimone. "Bernadette e Lourdes", un libro che ha già visto un grande apprezzamento nel corso delle precedenti edizioni, vuole distinguersi per il taglio particolare che Cennamo e Vaudo, giornalisti di pluriennale esperienza, hanno saputo dare ad una storia per certi versi già conosciuta e sfruttata.
Partendo dalle notizie storiche desunte da documenti provenienti dagli archivi segreti del Vaticano, gli autori sviluppano il racconto degli eventi miracolosi, tra cronaca e romanzo, nella sconosciuta Lourdes del tempo di Bernadette. Per narrare gli avvenimenti è stata costruita la figura di uno storico dell'epoca, un giornalista che per caso si trovava in quei luoghi al tempo delle apparizioni. Egli incomincia a raccogliere informazioni che narrino i fatti a cui lui stesso assiste, facendo parlare proprio quelle persone le cui testimonianze sono state raccolte nei documenti custoditi dalla Santa Sede. Ciò che coinvolge maggiormente nella lettura di quest'opera è la consapevolezza che nulla di falso è raccontato, ma fatti di cronaca dell'epoca sapientemente rielaborati in una narrazione fluida e accattivante.
L'impostazione di questo lavoro inoltre consente di avere un quadro ben articolato della società del tempo, nei modi di vivere e di essere, dall'umile Bernadette al parroco, il vescovo o il commissario che parlano nelle testimonianze riportate dal carteggio che le indagini della polizia, le perizie dei medici, le opinioni dei giornalisti e i rapporti delle autorità ecclesiastiche produssero su un fatto che all'inizio non era solo religioso. Del giornalista non viene detto né se fosse credente o meno, né quanto si fosse fatto coinvolgere dagli eventi, proprio per non disturbare la sua obiettività nel raccontare quanto si stava verificando.
Il fine di "Bernadette e Lourdes"non è dare soluzioni né opinioni, ma solo gli elementi utili per affrontare le indubbie problematiche concernenti quegli eventi. Il credente sicuramente trarrà conferma delle sue convinzioni, mentre il non credente avrà modo di avere una lucida visione di fatti indubbiamente accaduti, ma di difficile interpretazione razionale. Questo panorama di informazioni, racconti e notizie, fa da sfondo alla figura di Bernadette Soubirous, che gli autori hanno minuziosamente descritto, mettendone in luce la crescita spirituale avvenuta nello svilupparsi della sua esperienza, dalla semplicità di ragazza alla vocazione religiosa, vissuta nella sofferenza del male che poi la porterà alla morte.
Un'anima che emerge nella purezza del suo eroismo spirituale, rara figura nel panorama di ogni tempo, nella cui memoria operano oggi i membri dell'Hospitalité. Non semplici volontari ma persone animate da una fortissima spiritualità, reduci da anni di preparazione per offrire a malati e pellegrini la migliore assistenza possibile.
L'Hospitalité si mette a disposizione dei pellegrini attraverso una serie di Servizi che garantiscono il buon funzionamento dei pellegrinaggi e il regolare afflusso ai diversi luoghi sacri della località mariana. Dal servizio ai tavoli nelle mense alla pulizia degli spazi comuni, dall'accoglienza dei pellegrini alla stazione ferroviaria e all'aeroporto all'accompagnamento dei malati, sono numerose le "prestazioni" svolte dai volontari. Il presidente Antoine Tierny, il segretario Alan Bregon, il tesoriere Alain Marchio e il cappellano Padre Horatio Brito, coordinano circa 20.000 hospitaliers, provenienti dal mondo intero, che si danno il cambio nella stagione dei pellegrinaggi nel fornire assistenza e supporto. L'associazione, per i suoi 125 anni, ha rinnovato la sua immagine con un nuovissimo sito internet e una newsletter periodica. Non solo, un calendario speciale sarà consegnato ad ogni hospitalier, per scoprire immagini storiche, e date significative per tutto il 2010.

lunedì 8 marzo 2010

Palazzo San Gervasio:Festa della donna 8 marzo... non dimenticate il motivo...

Non dimenticate il motivo della festa:
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La Giornata Internazionale della Donna, comunemente definita Festa della Donna, è una giornata commemorativa celebrata l'8 marzo di ogni anno, che intende ricordare sia le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne, sia le discriminazioni e le violenze cui esse sono ancora fatte oggetto in molte parti del mondo.

Nel corso degli anni la ricorrenza sta perdendo in molti paesi l'originario significato di lotta e di protesta per assumere una connotazione di mero carattere commerciale.

Il «Woman's Day» negli Stati Uniti (1908-1909)

Nel VII Congresso della II Internazionale socialista, tenuto a Stoccarda dal 18 al 24 agosto 1907, nel quale erano presenti 884 delegati di 25 nazioni - tra i quali i maggiori dirigenti socialisti del tempo, come i tedeschi Rosa Luxemburg, Clara Zetkin, August Bebel, i russi Lenin e Martov, il francese Jean Jaurès - vennero discusse tesi sull’atteggiamento da tenere in caso di una guerra europea, sul colonianismo e anche sulla questione femminile e sulla rivendicazione del voto alla donne.

Su quest'ultimo argomento il Congresso votò una risoluzione nella quale si impegnavano i partiti socialisti a «lottare energicamente per l’introduzione del suffragio universale delle donne», senza «allearsi con le femministe borghesi che reclamano il diritto di suffragio, ma con i partiti socialisti che lottano per il suffragio delle donne». Due giorni dopo, dal 26 al 27 agosto, fu tenuta una Conferenza internazionale delle donne socialiste, alla presenza di 58 delegate di 13 paesi, nella quale si decise la creazione di un Ufficio di informazione delle donne socialiste: Clara Zetkin fu eletta segretaria e la rivista da lei redatta, Die Gleichheit (L’uguaglianza), divenne l’organo dell’Internazionale delle donne socialiste.

Non tutti condivisero la decisione di escludere ogni alleanza con le «femministe borghesi»: negli Stati Uniti, la socialista Corinne Brown scrisse, nel febbraio del 1908 sulla rivista The Socialist Woman, che il Congresso non avrebbe avuto «alcun diritto di dettare alle donne socialiste come e con chi lavorare per la propria liberazione». Fu la stessa Corinne Brown a presiedere, il 3 maggio 1908, causa l’assenza dell’oratore ufficiale designato, la conferenza tenuta ogni domenica dal Partito socialista di Chicago nel Garrick Theater: quella conferenza, a cui tutte le donne erano invitate, fu chiamata «Woman’s Day», il giorno della donna. Si discusse infatti dello sfruttamento operato dai datori di lavoro ai danni delle operaie in termini di basso salario e di orario di lavoro, delle discriminazioni sessuali e del diritto di voto alle donne.

Quell’iniziativa non ebbe un seguito immediato, ma alla fine dell'anno il Partito socialista americano raccomandò a tutte le sezioni locali «di riservare l’ultima domenica di febbraio 1909 per l’organizzazione di una manifestazione in favore del diritto di voto femminile». Fu così che negli Stati Uniti la prima e ufficiale giornata della donna fu celebrata il 28 febbraio 1909.

La Conferenza di Copenaghen (1910)

Il lunghissimo sciopero, che vide protagoniste più di 20.000 camiciaie newyorkesi, durato dal 22 novembre 1908 al 15 febbraio 1909, fu considerato, nel Woman's Day tenuto a New York il successivo 27 febbraio, come una manifestazione che univa le rivendicazioni sindacali a quelle politiche relative al riconoscimento del diritto di voto femminile. Le delegate socialiste americane, forti dell'ormai consolidata affermazione della manifestazione della giornata della donna, decisero pertanto di proporre alla seconda Conferenza internazionale delle donne socialiste, tenutasi nella Folkets Hus (Casa del popolo) di Copenaghen dal 26 al 27 agosto 1910 - due giorni prima dell'apertura dell'VIII Congresso dell'Internazionale socialista - di istituire una comune giornata dedicata alla rivendicazione dei diritti delle donne.

Negli ordini del giorno dei lavori e nelle risoluzioni approvate in quella Conferenza non risulta che le 100 donne presenti in rappresentanza di 17 paesi abbiano istituito una giornata dedicata ai diritti delle donne: risulta però nel Die Gleichheit, redatto da Clara Zetkin, che una mozione per l'istituzione della Giornata internazionale della donna fosse «stata assunta come risoluzione». Mentre negli Stati Uniti continuò a tenersi l'ultima domenica di febbraio, in Europa la giornata della donna si tenne per la prima volta il 19 marzo 1911 su scelta del Segretariato internazionale delle donne socialiste. Secondo la testimonianza di Aleksandra Kollontaj, quella data fu scelta perché, in Germania, «il 19 marzo 1848 durante la rivoluzione il re di Prussia dovette per la prima volta riconoscere la potenza di un popolo armato e cedere davanti alla minaccia di una rivolta proletaria. Tra le molte promesse che fece allora e che in seguito dimenticò, figurava il riconoscimento del diritto di voto alle donne».

Non fu però celebrata in tutti i paesi: in Russia si tenne per la prima volta a San Pietroburgo solo nel 1913, il 3 marzo, su iniziativa del Partito bolscevico, con una manifestazione nella Borsa Kalašaikovskij, e fu interrotta dalla polizia zarista che operò numerosi arresti. In Germania fu tenuta per la prima volta l'8 marzo 1914, giorno d'inizio di una «settimana rossa» di agitazioni proclamata dai socialisti tedeschi, mentre in Francia si tenne con una manifestazione organizzata dal Partito socialista a Parigi, il 9 marzo 1914.

L'8 marzo 1917

Le celebrazioni furono interrotte dalla Prima Guerra mondiale in tutti i paesi belligeranti, finché a San Pietroburgo, l'8 marzo 1917 - il 23 febbraio secondo il calendario giuliano allora in vigore in Russia - le donne della capitale guidarono una grande manifestazione che rivendicava la fine della guerra: la fiacca reazione dei cosacchi inviati a reprimere la protesta, incoraggiò successive manifestazioni di protesta che portarono al crollo dello zarismo, ormai completamente screditato e privo anche dell'appoggio delle forze armate, così che l'8 marzo 1917 è rimasto nella storia a indicare l'inizio della «Rivoluzione russa di febbraio». Per questo motivo, e in modo da fissare un giorno comune a tutti i Paesi, il 14 giugno 1921 la Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste, tenuta a Mosca una settimana prima dell’apertura del III congresso dell’Internazionale comunista, fissò all'8 marzo la «Giornata internazionale dell'operaia».

In Italia la Giornata internazionale della donna fu tenuta per la prima volta soltanto nel 1922, per iniziativa del Partito comunista d'Italia, che volle celebrarla il 12 marzo, in quanto prima domenica successiva all'ormai fatidico 8 marzo. In quei giorni fu fondato il periodico quindicinale Compagna, che il 1º marzo 1925 riportò un articolo di Lenin, scomparso l'anno precedente, che ricordava l'8 marzo come Giornata internazionale della donna, la quale aveva avuto una parte attiva nelle lotte sociali e nel rovesciamento dello zarismo.

La connotazione fortemente politica della Giornata della donna, l’isolamento politico della Russia e del movimento comunista e, infine, le vicende della Seconda guerra mondiale, contribuirono alla perdita della memoria storica delle reali origini della manifestazione. Così, nel dopoguerra, cominciarono a circolare fantasiose versioni, secondo le quali l’8 marzo avrebbe ricordato la morte di centinaia di operaie nel rogo di una inesistente fabbrica di camicie Cotton, a New York, facendo probabilmente confusione con una tragedia realmente verificatasi il 25 marzo 1911, l’incendio della fabbrica Triangle, nella quale morirono 146 operaie, in gran parte emigrate italiane; altre versioni citavano la repressione poliziesca di una presunta manifestazione sindacale di operaie tessili tenutasi a New York nel 1857, e altre ancora riferivano di scioperi o incidenti verificatesi a Chicago, a Boston o a New York.

Compare la mimosa

Nel settembre del 1944 si costituì a Roma l’UDI, Unione Donne Italiane, per iniziativa di donne appartenenti al PCI, al PSI, al Partito d'Azione, alla Sinistra Cristiana e alla Democrazia del Lavoro e fu l’UDI a prendere l’iniziativa di celebrare, l’8 marzo 1945, le prime giornate della donna nelle zone dell’Italia libera, mentre a Londra veniva approvata e inviata all'ONU una Carta della donna contenente richieste di parità di diritti e di lavoro. Con la fine della guerra, l'8 marzo 1946 fu celebrato in tutta l'Italia e vide la prima comparsa del suo simbolo, la mimosa, che fiorisce proprio nei primi giorni di marzo, secondo un'idea di Teresa Noce [2] , Rita Montagnana e di Teresa Mattei.[3]

Negli anni Cinquanta, anni di guerra fredda e del ministero Scelba, distribuire in quel giorno la mimosa o diffondere «Noi Donne», il mensile dell’UDI, divenne un gesto «atto a turbare l’ordine pubblico», mentre tenere un banchetto per strada diveniva «occupazione abusiva di suolo pubblico».[4] Nel 1959 le parlamentari Pina Palumbo, Luisa Balboni e Giuliana Nenni presentarono una proposta di legge per rendere la giornata della donna una festa nazionale, ma l'iniziativa cadde nel vuoto.

Il clima politico migliorò nel decennio successivo, ma la ricorrenza continuò a non ottenere udienza nell'opinione pubblica finché, con gli anni settanta, in Italia apparve un fenomeno nuovo: il movimento femminista.

Il femminismo

L'8 marzo 1972 la manifestazione della festa della donna si tenne a Roma in piazza Campo de' Fiori: vi partecipò anche l'attrice americana Jane Fonda, che pronunciò un breve discorso di adesione, mentre un folto reparto di polizia era schierato intorno alla piazza nella quale poche decine di manifestanti inalberavano cartelli con scritte inconsuete e «scandalose»: «Legalizzazione dell'aborto», «Liberazione omosessuale», «Matrimonio = prostituzione legalizzata», e veniva fatto circolare un volantino che chiedeva che non fosse «lo Stato e la Chiesa ma la donna ad avere il diritto di amministrare l'intero processo della maternità». Quelle scritte sembrarorono intollerabili, perché la polizia caricò, manganellò e disperse le manifestanti.

Il 1975 fu designato come "Anno Internazionale delle Donne" dalle Nazioni Unite e l'8 marzo le organizzazioni femminili celebrarono in tutto il mondo proprio la giornata internazionale della donna, con manifestazioni che onoravano gli avanzamenti della donna e ricordavano la necessità di una continua vigilanza per assicurare che la loro uguaglianza fosse ottenuta e mantenuta in tutti gli aspetti della vita civile. A partire da quell'anno anche le Nazioni Unite riconobbero nell'8 marzo la giornata dedicata alla donna.

Due anni dopo, nel dicembre 1977, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite adottò una risoluzione proclamando una «giornata delle Nazioni Unite per i diritti della donna e la pace internazionale» da osservare dagli stati membri in un qualsiasi giorno dell'anno, in accordo con le tradizioni storiche e nazionali di ogni stato. Adottando questa risoluzione, l'Assemblea riconobbe il ruolo della donna negli sforzi di pace e riconobbe l'urgenza di porre fine a ogni discriminazione e di aumentare gli appoggi a una piena e paritaria partecipazione delle donne alla vita civile e sociale del loro paese.

Palazzo San Gervasio: Luciana Forlino






"Il tempo è immobile;
niente lavoro, la natura e' cattiva ma sa anche essere materna,gli uomini sono senza proprieta'. La morte simile ad un dolce sonno. La liberta' è infinita, anche se nutrita di carestie, intolleranze, malattie. Tutto avviene ma Ma il tempo e' immobile. Lo sanno bene anche i missionari. Questo mond...o non conosce il domani. Conosce la fame,la sete .... l'oggi immobile: oggi ugule a ieri, ieri uguale a domani; sempre che resti vivo".

GUINEA BISSAU - Informazioni:
La popolazione della Guinea-Bissau è molto giovane (circa il 43% sotto i quindici anni) e ha un coefficiente di incremento naturale del 19‰, mentre quelli di natalità e di mortalità sono rispettivamente del 40,7‰ e del 21.7‰.
La situazione sanitaria è una delle più gravi del mondo e, insieme con la denutrizione, responsabile dell'altissima mortalità infantile (143‰) e della brevissima durata della vita media (41,4 anni per gli uomini e 44,6 per le donne).
In Guinea Bissau si annovera, purtroppo in maniera massiccia, la presenza di tutta la gamma delle malattie tipiche delle zone tropicali: malaria, febbre gialla, epatiti, febbri tifoidee, colera, lebbra, poliomelite, meningite, tubercolosi, AIDS e altre che affliggono continuamente la popolazione causando l’alta mortalità e la breve durata della vita media sopra menzionate.
Lingua ufficiale il portoghese, ma ogni etnia parla i propri dialetti creoli. Il tasso di analfabetismo è quasi dell’80%.
Con un prodotto nazionale lordo pro capite di soli 130 dollari annui, la Guinea-Bissau è uno dei paesi più poveri del mondo, (6 nella graduatoria dell’O.M.S., organizzazione mondiale della sanità). ... Mostra tutto
Fino a tempi molto recenti l'economia era completamente statalizzata, ma, visti i risultati disastrosi, il governo ha avviato un programma di denazionalizzazione. L'agricoltura impiega circa i quattro quinti della popolazione e concorre per circa la metà alla formazione del prodotto nazionale lordo.
Dato che la Guinea-Bissau si trova nella fascia del Sahel, è costantemente minacciata dallo spettro della siccità
La superficie coltivata è di 320.000 ha circa, pari all'8,9% di quella territoriale. Arachidi (53.000 ha e 29.000 t) e palma di cocco (2.500 t di noci e 5.000 t di copra) sono le principali colture per l'esportazione; mentre le principali colture destinate al consumo interno sono: riso (105.000 ha e 125.000 t), mais (29.000 t), sorgo (33.000 t),miglio (18.000 t) e cassava, plantani, patate dolci, ecc.
La produzione di cereali non è però adeguata al fabbisogno ed è quindi necessario ricorrere a importazioni. Inoltre vi è un consistente contrabbando di arachidi verso il Senegal.
L'allevamento diffuso soprattutto tra i Balanta e i Fula: prevalgono i bovini, seguiti da suini, caprini e ovini; la 3 produzione di latte è gravemente deficitaria e non esiste produzione dei suoi derivati.
La maggior parte del legname, ricavato dalle foreste, viene usato come combustibile per cucinare; una piccola parte viene esportata (mogano).
Abbastanza sviluppata la pesca, che viene quasi esclusivamente praticata da grandi pescherecci a motore stranieri (le imbarcazioni locali sono piccole, in legno e a remi), pertanto la nazione ne viene a giovare ben poco.
Il paese non dispone di ferrovie e ha una rete stradale molto scarsa. Durante il lungo periodo delle piogge la viabilità diventa quasi impossibile (foto a seguire) a causa dell'assenza quasi totale di strade asfaltate (un'unica strada percorribile su asfalto che unisce tra di loro soltanto le maggiori città. Le vie d'acqua interne (bracci di mare), sono di norma le uniche vie di trasporto per il traffico locale (con canoe e piccole imbarcazioni). Porto principale nella Capitale Bissau che è anche dotata di aeroporto internazionale (a Bissalanca).
La poca energia elettrica disponibile viene prodotta da generatori funzionanti a gasolio (che viene importato). Parliamo quindi di oltre 1.200.000 persone che vivono la loro quotidianità senza energia elettrica oltre che privi di acqua potabile e servizzi igenici. Praticamente non esiste industria di alcun tipo.
E’ una nazione che finora ha vissuto per lo più con l’apporto di aiuti e contributi internazionali che fin’ora per non hanno portato un minimo di benessere. Si è dimostrata di fondamentale importanza, nell’ultimo cinquantennio la presenza delle missioni cattoliche gestite da vescovi, preti, suore e laici che pur fra mille difficoltà, oltre che svolgere un lavoro incessante di evangelizzazione, sostengono un programma di promozione umana nei campi della sanità, della scuola, dell’emancipazione femminile e della giustizia sociale

Quanto detto fin'ora è perchè il popolo di Guinea possa arrivare ai tre scopi basilari per una vita che si possa ritenere tale:
- una alimentazione di base per poter garantire una esistenza dignitosa
- una organizzazione sanitaria che permetta di diminuire la presenza delle maggiori malattie
- una scolarizzazione che tenda all’eliminazione della piaga dell’analfabetismo
Sembrano tre obiettivi semplici da raggiungere ma niente in Africa si ottiene facilmente.
LA GUINEA BISSAU CONTA PERENNEMENTE LE TRE EMERGENZE:
SALUTE
ALFABETIZZAZIONE
ACQUA
Come Diocesi di Acerenza e volontari in prima linea stiamo da due anni tentando di soccombere i problemi di alfabetizzazione e di acqua. Abbiamo contribuito in maniera cospicua e significante con la costruzione di un liceo nel villaggio di Bambadinca (foto a seguire..) inaugurato a nome di Padre Antonio Grillo missionario acheruntino per quarant'anni in Guinea Bissau. Il sostegno di tutti a completamento dell'opera andrebbe volto anche alle adozioni a distanza con Padre Abramo (orfani o figli di famiglie in grave stato di povertà che non riescono a sostenere gli studi). L'arcivescovo Mons. Ricchiuti oltre alla coordinazione e all'interesse per tutto ciò che serve a sostenere economicamente e burocraticamente i progetti organizza periodocamente la raccolta di materiale di prima necessità e sopratutto di materiale scolastico da inviare tramite container nella Diocesi di Bafatà.
Rispetto all'emergenza ACQUA (con la collaborazione della Commissione Regionale Lucani all'Estero) stiamo tentando di concretizzare il progetto "pozzi per l'Africa" con l'intento di finanziare e costruire pozzi di acqua potabile forniti di pompe che possano quantomeno soddisfare il fabbisogno giornaliero dei villaggi Diocesani.
l'impegno con la "salute" nasce a partire dalle adozioni a distanza con Suor Paula Elizabeth Flores (bambini in grave stato di denutrizione ed affetti da malattie gravi e degenerative).
Man mano pubblicherò alcune foto affinchè vi venga illustrata nella maniera più chiara la situazione del territorio, le condizioni di vita della gente, e le missioni preziose dove vescovi, preti, suore e volontari laici ogni giorno in nome di Dio impegnano la loro vita sostenendo e condividendo le sofferenze di chi vive una "vita diversa dalla nostra".
Non appena saremo pronti con le liste per le adozioni vi comunicherò le modalità definitive.
Chiunque fosse interessato a dare una mano non esiti a contattarmi.

La Guinea Bissau ha bisogno dell’aiuto e della collaborazione di tutti.

domenica 7 marzo 2010

Palazzo San Gervasio : la galleria fotografica

LA PINACOTECA D'ERRICO

Palazzo San Gervasio : il castello

www.palazzosangervasio.net

Il Castello

Non possiamo fare a meno di portare la nostra mente a quell’antico castello di un certo rilievo, ma dimenticato ed abbandonato, di Palazzo San Gervasio, il quale è ubicato su di una collina amena a quasi 500 metri sul livello del mare. Esso risale all’epoca normanna, mentre il suo riattamento fu quasi certamente fatto eseguire su progetto di Federico II, che oltre ad essere un grande condottiero ed un sagace ed accorto politico, fu pure un valente ingegnere.

Il maniero fu fatto erigere sul colle che domina la pianura sottostante e dal quale si delineano, con nitida evidenza i rilievi del Melfese, del Gargano, del pescoso golfo di Manfredonia, della rocciosa Murgia e della vicina Puglia, molto probabilmente da Drogone di Altavilla, conte di Puglia (1046-1051), o dal fratello Umfredo che gli successe (105 1-1057).

La sua costruzione, come palatium regium (casa padronale), risale al 1050 circa; esso aveva prima forma quadrata, che è la forma tipica degli edifici militari normanni, con due torrioni ai lati a pianta quadrata e che, con il tempo e l’opera vandalica degli uomini, sono andati del tutto distrutti. Vi erano anche quattro bifore e una trifora centrali simili ad una loggia, che ancor oggi si possono scorgere, anche se murate; in seguito il primitivo disegno architettonico fu completamente modificato.

Il castello fu prima destinato a residenza di campagna dei principi normanni e come luogo di caccia e di svago degli Svevi: domus solatiorum; in seguito come posto di vedetta e di difesa del territorio ricco di boschi e di pascoli contro i Saraceni che scorazzavano ancora nella vicina Puglia o contro i Bizantini o Greci che combattevano contro i Normanni, i quali volevano a qualsiasi costo soppiantarli, come attestano i cronisti coevi.

Intorno e vicino all’ostello vennero costruite di poi delle casette per il personale dipendente, le quali cominciarono a formare quel rione che si chiamò Santo Spirito e che aveva al suo centro una chiesetta, non più esistente sin dalla fine del cinquecento, costruita probabilmente, ad opera di devoti lombardi, al servizio dei Normanni (altrimenti non si riuscirebbe a spiegare l’intitolazione della chiesa, nel bel sud d’Italia, a martiri cristiani del nord) dedicata ed intitolata ad uno dei santi martiri del cristianesimo: Gervasio fratello gemello di Protasio, di cui si parla in due Bolle pontificie di Pasquale II (1099-1118): datata, dal Laterano, la prima, 22.5.1103, in cui si accenna all’esistenza di detta Chiesa: «Ecclesiam Sanctorum martyrum Gervasii et Protasii in Bandusino fonte apud Venusiam»; la seconda, datata da Albano il 16.6.1106, in cui si pone la stessa alle dipendenze dell’Arcivescovo di Acerenza.

Ma l’Ughelli riporta ancor prima un’altra carta del 1082 —ricordata pure da G. Racioppi — in cui si accenna ad un Casalis Gervasii e precisamente la donazione del territorio di questo casale al monastero della SS. Trinità di Venosa.

Inoltre nella Bolla pontificia dei 10.12.1201 di Innocenzo III (1198-1216) ritroviamo invece, proprio il nome di Palatium Sancti Gervasii.

Di lì a non molto l’imperatore Federico Il fece riattare il castello che gli doveva servire prima come luogo di caccia — che era il suo hobby preferito — e dopo come posto ideale — a causa dei ricchi pascoli ivi esistenti — per l’allevamento della razza dei cavalli, cosiddetti murgesi, allora molto richiesti, e specie quella dei cavalli arabi che l’augusto sovrano, tra le altre, preferiva. In queste scuderie venivano anche selezionati, a cura di un magister aratiarum, i superbi stalloni di razza reale che facevano spicco durante i fastosi cortei imperiali.

Ma il castello fu più frequentato e divenne molto più celebre al tempo di re Manfredi (1232-1266), figlio naturale di Federico II e di Bianca, il quale, dopo la vittoria conseguita durante la battaglia di Foggia, nell’estate del 1255, vi soggiornò a lungo.

Infatti il valoroso principe, ancora ventitreenne, in quel castello, dopo la suddetta vittoria sull’esercito pontificio comandato dal cardinale di Santa Maria in Lata, Ottaviano degli Ubaldini, legato del papa Alessandro IV (1254-1261) e considerato a torto dalla opinione pubblica del tempo come il traditore della causa guelfa per aver stipulato, dopo la sconfitta di Foggia, un trattato con Manfredi in cui egli assecondava i disegni del principe a discapito della causa pontificia (la logica delle cose vuole, però, che chi perde deve sottostare alle proposte del vincitore, pena la ripresa delle ostilità che il Cardinale in quel momento non era in grado, in nessun modo, di affrontare), si ritirò con il suo seguito per ristorarsi dalle fatiche della guerra. Il luogo, d’altronde, era ameno per la salubrità dell’aria e per la copiosità delle acque limpide e salutari e venationibus delectabilem — secondo scrive il cronista Jamsilla, ma, tra i sollazzi della caccia al cinghiale, al cervo e al daino e i refrigeri del bosco33 vicino, il giovane principe, aliquantum aegrotavit, si ammalò molto probabilmente di broncopolmonite tanto che fu prossimo alla morte.

Di questo maniero, facente parte dell’immenso patrimonio della Corona regia, il biondo re nominò poi, castellano, Nicola di Venosa, suo valletto preferito e familiare.

Ebbene, quivi Manfredi, per il vigore della sua età giovanile, riuscì a ritrovare la salute e la serenità dell’animo tanto che, durante la convalescenza, egli pregava spesso gli amici che l’avevano seguito e che affettuosamente gli tenevano compagnia di leggergli il Liber de pomo sive de morte Aristotilis, attribuito allo Stagirita, sia per rivolgere la mente a pensose meditazioni sul destino degli uomini dopo la morte e sulle speranze dell’aldilà, sia per confortare e sollevare gli animi, di chi gli stava amorevolmente d’intorno, dallo stato di afflizione in cui continuamente erano vissuti a causa delle sue precarie condizioni di salute.

Fu proprio durante questo periodo che Manfredi prese altresì a tradurre dall’ebraico in latino il suddetto libro che il più grande dei saggi arabi, Ibn Sabin da Mursia (1216-1270), invitato a Palermo dal padre Federico (1240) ai tempi dello splendore della Magna Curia, aveva portato seco dalla Tunisia in Sicilia, ove era stato poi tradotto dall’arabo da Abraham ben Samuel ha-levi (Ibn) Chasdai da Barcellona tra il 1235-40.

Il principe era circondato dall’affetto degli amici più cari che formavano il suo cenacolo letterario e giuridico: quali, per esempio, il suo segretario e cronista napoletano, tale Niccolò de Jamsilla, che nella sua cronaca lo chiama paternae philosophiae inhaerens — figlio ed alunno della filosofia —; Messer Gervasio di Martina, pugliese e giureconsulto illustre e uomo di grandi maneggi; il conte Manfredo Maletta, camerlengo del re e suo amato parente, il quale era «il migliore in trovare canzoni e melodie e che a sonare non aveva l’eguale al mondo»; Ermanno Alemanno — forse di origine tedesca, ma trapianta-to nel bel meridione d’Italia e che nel 1256 tradusse per lui la Poetica di Aristotele dal Breviario di Averroé: i fratelli Lancia parenti per parte della madre Bianca e tanti altri.

Pertanto Manfredi, in compagnia di costoro, godendo dell’aria salubre del luogo — specie per il ricco bosco vicino e ancor oggi lussureggiante di vegetazione — o affacciandosi dalle finestre o dalle logge di stile classico, una volta esistenti, da cui si poteva abbracciare con lo sguardo tutto un rilievo collinare delle Murge sul quale dominava la fortezza del Garagnone, o forse portandosi con essi presso la vicina fons bandusiae— di oraziana memoria — le cui acque salutari e più chiare del cristallo sgorgano dalla sorgente del monte di Palazzo San Gervasio, poté ritemprarsi fisicamente e spiritualmente tanto da poter attendere ai filosofici conversari, memore degli insegnamenti severi ricevuti negli atenei di Parigi e di Bologna, dove l’augusto genitore l’aveva mandato a studiare ed ove aveva acquistato ìncomparabilem scientiam .

Alla traduzione dell’opera aristotelica il giovane studioso premise anche un magnifico Prologo in latino, buona parte del quale è stato tradotto in italiano da Francesco Torraca (1853-1939), lucano di Pietrapertosa.

In esso Manfredi non fa che ribadire la sua ferma fede cristiana nella immortalità dell’anima, affermando che «la morte non è da temere in quanto essa non è che la dissoluzione dei quattro elementi empedoclei e che è necessaria perché l’anima abbia a raggiungere in Dio la perfezione cui a spira» e aggiunge inoltre che « gli uomini, per possedere il premio della loro perfezione non confidano nei loro meriti, ma nella immensa bontà del Dio creatore».

E chissà che padre Dante non si sia ispirato alle parole di Manfredi — del quale molto probabilmente conosceva l’opera allorché nel terzo canto del Purgatorio fa parlare l’anima del re svevo.

Dopo la sconfitta di Manfredi a Benevento il 26 febbraio 1266 e con l’avvento al trono di Napoli e di Sicilia di Carlo d’Angiò (1220-1285), fratello del Re di Francia Luigi I’, il Santo, il maniero di Palazzo San Gervasio, con tutte le pertinenze — le cui stanze erano state allietate dalla presenza di tanti nobili e raffinati uomini di cultura — fu subito adibito dal vincitore angioino solo come scuderia reale e relativa Marescalla.

Infatti, con la successiva occupazione di tutto il Regno di Napoli, re Carlo istituì, con Ordinanza del 1267, il Tenimento di San Gervasio come una delle Difese della Basilicata, consegnandolo al Maestro delle Regie Foreste con castellano e quattro guardie forestali a cavallo e quattro a piedi.

In una carta ancora del 1280 è menzionata la Marescallia S. Gervasii ove i re angioini possedevano le migliori scuderie di razze equine e il Palazzo e le masserie rurali molto probabilmente furono il primo nucleo del paese.

Durante il regno di Carlo Il d’Angiò, detto lo zoppo (1285-1309) e figlio del primo, il Castello di Palazzo fu assegnato ad un certo Filippo di Grandiprato, il quale fu nominato anche custode delle foreste di San Gervasio.

Nel 1334 re Roberto d’Angiò (1309-1343), figlio di Carlo Il, nominò il principe di Altamura, Beltrando del Balzo, -Custode delle foreste e delle Difese - del territorio di San Gervasio e Lagopesole, nel Giustizierato di Basilicata.

Sotto il regno di Giovanna I d’Angiò (1343-1382), nipote di Roberto, invece, ebbe inizio la trasformazione delle Regie Difese in Feudi; la quale fu continuata da Carlo III d’AngiòDurazzo (1382-1386) e da suo figlio re Ladislao d’AngiòDurazzo che nel 1400 donò alla madre Regina Margherita il « Tenimento di Palazzo San Gervasio con il castello (elevandolo a Feudo) e la terra di Stigliano». Il primo atto di infeudazione è del quattrocento, allorché la regina di Napoli Giovanna Il, detta Giovannetta (1414-1435), figlia di Carlo III d’Angiò-Durazzo e sorella del valoroso, cedette, nel 1434, «e’ regesto serenissimae Reginae Joannae Secundae» (signato 1423 fol. 427), alla nipote cugina Covella o Cubella Ruffo, contessa di Montalto in Vai di Crati (Calabria), Squillace ed Alife e duchessa di Sessa — per aver sposato il duca Giovanni Antonio Marzano — il bosco «nemus et territorium Sancti Gervasii cum Palatio, seu domo, situm in Pro vincia Basilica tae, tribus finibus, limitatum pro pe tenimentum Ecclesiae Sanctae Mariae de Bantia etc...

Poiché nel regesto si parla solo di «territorium Sancti Gervasii», sembrerebbe che ivi non si fosse ancora costituito un casale a mo di paese, invece è proprio di questo periodo il formarsi dell’agglomerato di abitanti — sia del piano che del villaggio di Santo Spirito che era stato il primo a sorgere intorno al castello —, i quali, forse sollecitati dalla nuova feudataria, iniziarono a dar vita al casale che continuò ad essere chiamato Palazzo San Gervasio in onore di uno dei due martiri cristiani, al quale era stata intitolata la prima chiesa’ sorta vicino al castello o addossata al Palazzo regio che era stata la prima costruzione sorta in quel luogo.

Intanto dal matrimonio di Giovan Francesco con Eleonora era nato un figlio a cui fu posto il nome di Giovan Battista, che in seguito sposò la vedova di Federico del Balzo principe di Altamura, Costanza d’Avalos, figlia di don Inigo marchese di Pescara, dalla quale però non ebbe figli maschi e mori nel 1507.

Cosi si estinse la famosa dinastia dei Marzano-Ruffo e di Cubella, principessa di Rossano, contessa di Montaito, duchessa di Sessa, e signora di Palazzo San Gervasio. Alla morte del duca il ‘Feudo di Palazzo San Gervasio’, con il relativo castello, tornò alla Regia Corte, per diritto di devoluzione feudale.

Orbene dopo la pace di Blois e con l’avvento al trono di Napoli di Ferdinando il Cattolico, il ‘Feudo’ di Palazzo — con tutto il castello e le pertinenze — che frattanto era ritornato —come prima si è detto — alla Regia Corte (1507), fu dato, addi 28 maggio dello stesso anno, «ab invictissimo rege Ferdinando facta in beneficium privilegio concessionis, feudi seu territori Palati Regiae» ad uno dei suoi più devoti baroni: Nicola Maria Caracciolo marchese di Castellaneta «cum hominibus vassallis vassallorum reddittibus» come da Diploma dei Regi Quinternioni della Regia Camera al fol. 51 e come rilevasi anche dal primo documento’ riportato dallo storico Nino Corteseso, che cosi suona:

20) «E’cambi dati per la prefata M.stà a il socto scripti baruni et gentili homini che possedevano le soctoscripte terre et pheudi del Stato del antescritto conte de Conza» (prov. Avellino). «Ad Cola Maria Caraczulo, per Palo, li è consignato lo casale et pheudo de San Gervaso, cioè, de le dece parte, le sei con pacto che li va’alli siano soi, et ha pagati ducati tre mila ad Sua Aitecza, et hebbe dicta parte de San Gervazo per ducati cinquecento et cento sopre li fochi et sali de la Bella con condicione che quando serranno vinute le informaciune de dicto casale et pheudo, se habia a crescere o minuire de li dicti cento ducati de fochi et sali escundo se trovarrà valere dicto pheudo, taliter che in tutto habbia ducati seicento integri».

Sennonché, dopo diversi anni, con la successione al trono di Spagna e dei possedimenti napoletani dell’imperatore d’Austria Carlo V d’Asburgo (1516) e a causa di rivolgimenti che si verificarono nel Regno di Napoli tra il 1527-30, ad opera di alcuni baroni autoctoni, il nuovo Signore, in data 30 giugno del 1532 — come da copia estratta dai Regi Quinternioni della Regia Camera —, concedeva con suo privilegio «ob ribellionem marchionis Castellanetae ab imperatore Carlo V» il ‘feudo’ di Palazzo San Gervasio, con tutti i diritti, fra cui quelli di «mercaturae, ponderum, et mensurarum etc...», in favore di un barone spagnolo suo favorito, Ferrante o Ferdinando di Alarcòn de Mendoza marchese di Rende e della Valle Siciliana «cum omnibus et singulis ipsarum terra rum et locorum casalibus, castris, fortilliis, vassallis, vassallorum reddittibus, fundis qua ternatis et non quaternatis etc...

Nel secondo documento del 1531 riportato dal Cortese ed estratto dal suddetto archivio de Simancas, si legge in lingua spagnola quanto segue:

29) «Esta tierra fuè de Cola Maria Carachulo marques rebelle y condenado, concedida por el Principe al marques Alarcòn. Esta tierra tiene toda jiurisdicio y buenos terminos y es frutifera de grandos y herbaies: tiene fuegos C’ y un Castillo razonable es tierre murada y de buenas qualitades. Valen las venderre quattro. mil ducados de oro ».

30) «Ei territorio o fego illamado lo palazzo en la mesma Provincia, del mesmo marques. Este fego concedito al dicho marques Alarcon y tiene grandes territorio; tiene dehesas, herbaies y bosques a Sancto Gervasio. Vale este territorios, segun parece en le cedulario de la doa, mii escientos sessanta ducados, de los quales solia pagar la Regia Corte por los herbaies de las pecoras de la Regia Doana DCC ducados al ano; los quales seria bien que se reintegrasen libre el pasto a la Corte».

In tal modo il ‘Feudo’ di Palazzo con tutto il castello e pertinenze ed agglomerato di case che costituivano il casale, passò dalla casata del marchese Nicola Maria Caraccioio, dichiarato ‘perduello’ e nemico della nuova dinastia, a quella del marchese spagnolo Ferrante di Alarcòn de Mendoza. E come questo feudo cosi anche tanti altri vennero confiscati e distribuiti a capitani spagnoli e italiani che si erano mostrati devoti all’imperatore, il quale governò il reame per mezzo di un Vicerè che aveva sede in Napoli; il più importante dei quali fu D. Pietro Alvarez de Toledo (1532-1553) marchese di Villafranca a cui i napoletani riconoscenti dopo la morte intitolarono una delle vie più importanti della città.

Purtroppo anche i beni del marchese Ferdinando di Alarcon — come rilevasi dal Cedolario del Grande Archivio di Napoli — dopo più di trènta anni, nel 1564, furono posti in vendita e comperati per 43.550 ducati da Donna Lucrezia della Tolfa, marchesa di Lavello, il cui padre si era distinto nel 1532 con il Comandante Andrea Doria, genovese, ammiraglio di Carlo V, con 300 archibugieri napoletani all’impresa di Corone (Grecia) contro i Turchi nel Levante — cosi come narra lo storico coevo Gregorio Rosso.

Intanto già, solo sul trono di Spagna, come re, era succeduto ai padre Carlo V, morto il 1556, il figlio Filippo Il il quale per il governo dei domini spagnoli in Italia, continùò a servirsi di un Vicerè il più importante dei quali fu D. Perafan de Rive-ra, duca d’Alcaià, che governò il Reame dai 1558 al 1571.

Nel 1569 moriva la marchesa Donna Lucrezia della Toifa, lasciando il ‘Feudo’ di Palazzo ai figli Giangirolamo e Giovannantonio. Ma, morto scapolo il primo, il ‘Feudo’ veniva ereditato in toto dal secondo. Nel 1587 San Gervasio è posseduto da Giovanni Antonio del Tufo al quale succede nel 1590, il figlio primogenito Carlo del Tufo55, che oberato da debiti e ad istanza dei suoi numerosi creditori, vendette nel 1597 la terra e parte dei ‘Feudo’ al duca di Acerenza D. Galeazzo Pinelli che l’acquistò per 74.500 ducati.

Nel 1600 a Galeazzo successe il figlio Cosimo ed a questi il figlio Galeazzo Francesco Pinelli, il quale nel 1615 vendette la terra di Palazzo San Gervasio, «alias lo Palazzo», al signor Antonio Cattaneo di Genova.

Nello stesso anno il ‘Feudo’ suddetto passava da Antoniotto alla sorella Ippolita Cattaneo e alla morte di costei all’altra sorella Costanza che aveva sposato Giovanni De Marinis di origine spagnola e feudatario di Genzano.

Nella Spagna intanto, a Filippo Il era succeduto il figlio Filippo III (1598-1621) e a questi il figlio Filippo IV (1621-1665) e nel 1665 il figlio di costui Carlo Il che regnò fino al 1700, anno in cui, morendo senza successori, dette luogo alla guerra di Successione Spagnola.

Nel frattempo i figli di Costanza e Giovanni De Marinis, A Giambattista e Stefano, eredi del feudo in parola, comprarono anche nel 1616, per 70.352 ducati le altre due parti del ‘Feudo’ di Palazzo San Gervasio dal marchese Andrea del Tufo, nipote di Carlo già menzionato, il quale le aveva comprate il 23.11.1585 dagli eredi del duca Pinelli, ottenendo anche il titolo di marchese di Genzano.

Nel 1631, morto celibe Giovanbattista, il ‘Feudo’ passò al fratello D. Stefano che aveva sposato la signora Giovanna Grimaldi, anch’essa oriunda genovese. Costoro ebbero una sola figlia: Paola Maria De Marinis che sposò il cugino Giovanbattista Grimaidi. Da questo matrimonio nacque un solo figlio, Orazio, il quale alla sua morte avvenuta nel 1698, non avendo avuto eredi, lasciò come erede testamentario del ‘Feudo’ di Palazzo San Gervasio un loro parente, il marchese di Genzano: Giangiacomo De Marinis, che, essendo morto celibe il 19 giugno del 1765 (siamo già ai tempi di Ferdinando IV di Borbone re di Napoli — 1759-1806 — succeduto al padre Carlo III, passato a reggere il trono di Spagna), lasciò erede di tutte le sue sostanze il nipote D. Giovanni Andrea De Marinis, feudatario sino al 1806, finché con la legge del 2 agosto dello stesso anno, fu abolita la feudalità — iniziata con i Longobardi — da parte di Giuseppe Bonaparte, fratello del grande Napoleone e Re di Napoli dal 30 marzo del 1806 al 15 giugno dei 1808, cui succedette il cognato Gioacchino Murat che regnò dal 15 luglio 1808 al 20 maggio del 1815, anno in cui dopo aver emanato il celebre Proclama di Rimini (30.3.1815), opera di Pellegrino Rossi, con il quale invitava gli italiani a combattere con lui per l’indipendenza e per l’unità d’Italia 60, subi tra il 2 e il 3 maggio la sconfitta di Tolentino da parte degli austriaci e dovette firmare la Convenzione di Casa-Lanza presso Capua per la quale il trono di Napoli era restituito a Ferdinando di Borbone. Subito dopo, volendo riconquistare il Regno di Napoli, sbarcò con un manipolo di volontari a Pizzo di Calabria, ma, preso dalla gendarmeria locale e processato sommariamente dalle truppe borboniche, fu ivi fucilato il 13 ottobre dello stesso anno.

E, ironia della sorte, l’unico figlio maschio del marchese Giannandrea De Marinis, signore di Genzano e di Palazzo San Gervasio, D. Filippo partecipò attivamente come patriota alla Costituzione, addi 23 gennaio 1799, della Repubblica Napoletana, ma, caduta questa il 23 giugno, fu preso e sottoposto, poi, a procedimento penale dalla Suprema Corte dello Stato borbonico che lo condannò alla pena capitale il 23 settembre del 1799; la sentenza venne eseguita il primo ottobre dello stesso anno.

Il padre Giannandrea mori invece vecchissimo lasciando tutti i suoi beni all’unica figlia Costanza che intanto era andata sposa a D. Giuseppe de Sangro, principe di Fondi. D. Costanza, in tal modo, divenne principessa di Fondi, feudataria di Poggio Marino, signora di Oppido Lucano, Marchesa di Genzano, e di Palazzo San Gervasio.

Fu proprio in questo periodo che il castello di Palazzo che già nel sec. ‘V aveva subito un primo saccheggio ad opera di vandali, fu fatto riattare e riportare al suo antico splendore dalla stessa D. Costanza.

Ma i coniugi de Sangro-De Marinis, non avendo avuto anch’essi dal loro matrimonio alcun figlio, lasciarono, ab intestato nel 1832, eredi dei loro beni: sia D. Francesco de Sangro fratello di D. Giuseppe, che, alla sua morte, la moglie Donna Luisa Gabrielli, madre di tre figlie: tra le quali vennero poi divise le immense ricchezze.

Cosi aveva fine il ‘Feudo’ di Palazzo San Gervasio, che le leggi eversive del 1799 sulla feudalità, già ricordate, e la divisione delle terre demaniali e feudali del 1800, avevano già incominciato a sgretolare.

Le tre figlie dei coniugi de Sangro-Gabrielli si sposarono: la prima, Donna Maddalena, con il marchese D. Giulio de Majo; la seconda, Donna Mariantonia, con D. Troiano Marulii, Principe di Sant’Angeio; la terza, Donna Carmela, con il Cav. Prospero Piscicelli, dottore in ambo le leggi, la quale però, dopo non molto, rimase vedova.

E l’antico Palatiùm regium, ossia il castello baronale, che ancor oggi si erge maestoso con la sua mole sul cucuzzolo di un conglomerato roccioso che domina la sottostante vallata ed èubicato al centro della strada che i cittadini riconoscenti — come già si è detto — intitolarono a re Manfredi, fu ereditato dalla Principessa donna Carmela De Sangro, vedova Piscicelli e da questa lasciato ai figli che lo vendettero ad alcuni proprietari privati che tuttora ne sono in possesso, mentre la parte sottostante appartiene al Comune.

In esso si accede attraverso un ampio portale con un arco di stile romanico ancora ben conservato che dà in un cortile ove si affacciano le porte di diversi locali, alcuni dei quali adibiti, sia anticamente che fino a prima della ultima guerra mondiale, a carceri; addossata al muro proprio, di fronte all’ingresso, trovasi una scalinata ormai sconnessa, ma che una volta doveva spiccare per armonia e decoro.

Essa porta su di un pianerottolo sul quale vi sono ancora degli accessi che danno nei diversi appartamenti formati da ampie stanze, in tutto una quindicina, che ormai hanno subito varie trasformazioni, sia per quanto riguarda i pavimenti che le volte, di cui alcune sono ancora a botte con travi in legno e molto probabilmente coeve con il complesso della costruzione. In talune stanze esiste qualche caminetto antico che però niente ricorda del tempo in cui svolgeva l’importante compito di riscaldare i vasti ambienti e i suoi abitanti nelle rigide giornate e specie nelle lunghe serate invernali in un castello isolato, posto cosi in alto e per giunta esposto ai venti che lo investono da ogni parte.

Però al tempo della principessa di Fondi D. Costanza, figlia del marchese Giannandrea De Marinis, le stanze erano quasi sempre allietate dalla presenza di questa nobildonna che aveva gusti raffinati ed elevatezza di spirito, a detta dell’Ing. Arch. Giuseppe d’Errico (1818-1874), suo contemporaneo e di Palazzo San Gervasio, del quale ci è pervenuto attraverso eredi un breve manoscritto da cui si rileva che la gentile signora teneva ben arredate le sale del castello con ricchi mobili e con quadri di celebri artisti che l’adornavano: una vera, piccola, ma graziosa ed importante pinacoteca con dipinti raccolti con cura, gusto e signorilità. «Nelle diverse sale — racconta il d’Errico — vi erano quadri di artisti della scuola napoletana del ‘600 e dei ‘700; sospeso al muro della parte ovest del castello, vi era un dipinto del maestro napoletano del Seicento: Domenico Gargiulo detto Micco Spadari (1612-1679), e che raffigurava Mosé mentre si accingeva a varcare, con il popolo di Israele, l’arabo Reno». Sulla riva opposta vi erano rapresentati da una parte gli Israeliti che ammiravano stupefatti le falangi del Faraone che venivano sommerse dal fiume che si apriva sotto di loro; dall’altra i Patriarchi che mormoravano contro il loro condottiero, mentre questi, con la sua verga magica, sommergeva l’esercito egiziano nella profondità dell’Eratno.

Molte di queste opere furono in seguito acquistate dalla famiglia d’Errico da parte di D. Camillo (1821-1897), sindaco di Palazzo per ben trent’anni a, munifico mecenate e cultore di belle arti, il quale costituì poi una raccolta straordinaria di quadri di ingente valore artistico costituenti la pinacoteca d’Errico fondata dallo stesso con 298 quadri d’autore celebri della Scuola napoletana e un centinaio di tele.

Intanto attualmente per l’ignavia dei passati e recenti uomini al potere, sia in sede comunale che provinciale e regionale e, perché no, anche nazionale, trasparente in ogni azione di assoluto disinteresse verso quanto li circonda, l’antico Palatium regium, ovvero il Castello marchesale, è nelle mani di privati cittadini; ed è abbastanza evidente la trascuratezza che costoro dimostrano verso un patrimonio di valore storico che la natura, più prodiga, ad onta dei secoli trascorsi, ha conservato quasi inalterato.

Ed anche se le moderne infrastrutture urbanistiche hanno portato ad invadere l’area di rispetto delle opere antiche questo antico maniero, costruito su di un pilastro di roccia compatta, sfidando l’eternità con la sua maestosa semplicità, è la testimonianza più viva ed evidente di un’epoca storica in cui i nostri avi, in un anelito di estrinsecazione, vollero lasciare a noi posteri quest’opera come espressione di un loro modus vivendi e come un attestato della loro capacità e sensibilità artistica.

Palazzo San Gervasio

Il fallimento dell'amministrazione comunale

Scritto da Amministratore
Martedì 24 Novembre 2009 14:28

Un’altra brutta pagina è stata scritta dalla nostra Amministrazione Comunale nel Consiglio tenuto venerdì 20/11/09 che ha registrato, ancora una volta, l’assenza di ben 4 consiglieri di maggioranza e celebrato grazie ai consiglieri di opposizione che ne hanno garantito il numero legale: si è approvato, infatti, la proposta di azzeramento delle cariche per quegli Assessori e quei componenti il Nucleo di Valutazione, il Consiglio di Amministrazione della Biblioteca Comunale e quello della Biblioteca e Pinacoteca Camillo D’Errico, che non hanno dato le dimissioni a seguito richiesta del Sindaco con lettera del 06/11/09, anziché trattare della “questione di fiducia” messa quale unico punto all’ordine del giorno.

Si doveva, cioè, discutere della fiducia al Sindaco e verificare la sussistenza delle condizioni per mantenere ancora in piedi un’Amministrazione Comunale sin qui fallimentare che passa da una crisi politica, in cui i partiti che rappresentano tale maggioranza non svolgono il loro ruolo istituzionale di indirizzo e di riferimento ed alcuni degli stessi amministratori dichiarano di non appartenere più a quei partiti in cui sono stati eletti, ad una crisi amministrativa in cui i principi ed i valori di trasparenza, coerenza politica e correttezza vengono calpestati per questioni personali, per la corsa all’accaparramento di una poltrona o per la spartizione delle varie cariche istituzionali.


In momenti così difficili, con una crisi economica che non ha ancora fatto sentire tutta la sua gravità (a tal proposito rinnoviamo la nostra solidarietà ai lavoratori della LASME di Melfi che stanno lottando per non perdere il posto di lavoro), il paese ha bisogno di un’Amministrazione solida, seria, che faccia sentire la propria vicinanza alle esigenze, alle necessità ed alle aspettative della gente che è più che mai preoccupata per la mancanza di opportunità di lavoro che costringe i giovani, i nostri figli, alla fuga da questo territorio.

Se questa Amministrazione Comunale non gestisce la cosa pubblica con spirito di servizio al paese, se si arriva alle offese personali ed alla rissa, se viene a mancare perfino il rispetto della persona in quanto tale oltre che per la carica che riveste, allora vuol dire che si è toccato proprio il fondo e che questa Amministrazione Comunale deve porre fine al suo mandato che è stato molto deludente e, in molte occasioni, peggiore delle passate Amministrazioni (sono le testuali parole pronunciate dal Sindaco in Consiglio Comunale).
D’altronde, l’atteggiamento, a dir poco, mortificato tenuto dai Consiglieri di maggioranza (non un intervento, non una parola per tutta la durata del Consiglio) è la prova che tutti sono consapevoli che questa crisi ha radici profonde e che ulteriori tentativi di ricomposizione non fanno altro che peggiorare una situazione oramai insostenibile e che presto si ripresenterà ancora più difficile e dura, tutta a danno della nostra collettività.

Firmato
Circolo PD - Palazzo San Gervasio

Palazzo San Gervasio

Amianto nel nostro bosco

Scritto da Amministratore
Giovedì 26 Novembre 2009 22:57

Noi non ci volevamo credere, ma un nostro carissimo amico ci ha inviato una foto ed una cartina che indica il punto preciso in cui, qualcuno, senza alcun rispetto per l'ambiente ha scaricato Eternit (amianto), all'interno del nostro bosco. Non è possibile che certi atti passino impuniti ed inosservati, non è possibile che quel materiale resti ancora lì. Questa vuol essere una denuncia forte verso le autorità che dovrebbero vigilare ed un avvertimento verso quelle persone, che senza alcuno scrupolo, hanno commesso un atto simile.


Foto e segnalazione di Andrea Armando Fatone,
foto scattata il 25/11/09 ore 16.00

sabato 6 marzo 2010

LA BIBLIOTECA di PALAZZO SAN GERVASIO

La biblioteca Joseph and Mary Agostine


Sarà la più grande biblioteca multimediale della regione, costruita e gestita con fondi privati.

Nonostante il rapido diffondersi dei processi di livellamento culturale ancora nei nostri paesi gli affetti, i ricordi, come gli odi, del resto, permangono tenaci. Per tale motivo, oltre che per le conseguenze di un gesto, di cui si dirà, è stato possibile ricostruire la storia di quello che per brevità chiameremo il Libraio di Palazzo San Gervasio. Da ragazzo, correvano i primi anni del ‘900, faceva il garzone di bottega nel salone di Jucc Sghel (Antonio Caputo), in Corso Manfredi, proprio di fronte alla Pinacoteca e Biblioteca Camillo D’Errico, allora aperta al pubblico. Era lì che trascorreva tutta la giornata del lunedì, da sempre il giorno festivo dei barbieri, incantato davanti ai quadri o perso tra i libri della biblioteca. Affascinato certamente, più dai colori solari della scuola napoletana, è a questa che appartiene buona parte dei quadri, che dalle chiacchiere della critica d’arte, più dal suono nuovo di migliaia di parole, quelle dei libri della Biblioteca, non le stesse del suo povero vocabolario quotidiano, che dal loro significato. A sera di quella giornata era la madre che andava, di solito, a riprenderselo. Andò via dal paese trascinato dall’ondata migratoria che seguì l’immediato primo dopoguerra. E’ da immaginare che a Boston, dove si era stabilito, dovette coltivare oltre agli affari anche una sorta d’amore rancoroso verso questo suo paese che lo aveva cacciato con l’altra buona metà dei suoi figli. Si promise certamente di non tornare più e non lo fece nemmeno il 1928 quando vi morì la madre, Filomena Mucciante. Scommettere contro il destino è da pazzi, dicono qui, gli anziani. Scese da un taxi, targato Bari, dove, era sbarcato, una mattina del Settembre 1955. Nessuno riconobbe nel signore elegante e già avanti con l’età, il ragazzetto partito cinquant’anni prima con la valigia di cartone e le toppe ai pantaloni per la ricca America. Pure quell’aria familiare di modestia che non abbandona mai i lucani, indipendentemente dal ceto o dalla professione, era un segno di riconoscimento certo. Si fermò in paese meno di dodici ore; il tempo per una breve visita alla casa materna, in Via Forcella 5, una al cimitero ed ai rari parenti superstiti. Ebbe, ricorda Donato Giordano che allora, ragazzo, lo accompagnò, un solo momento di commozione, quello davanti al portone sbarrato della sua amata Pinacoteca d’Errico. A Boston nessuno gli aveva detto che i 298 quadri del XVII e XVIII sec., le centinaia di stampe dello stesso periodo e gli 8000 volumi, della raccolta omonima, lasciati con testamento del 1897 da Camillo D’Errico ai suoi concittadini, erano stati trafugati il 1939 e portati a Matera, dove ancora oggi si trovano detenuti. Cosa pensò in quegli attimi eterni davanti alle porte chiuse? Rivide forse sfilare i ghigni odiosi dei predoni che nel corso dei secoli avevano razziato queste terre e quelli anche più detestabili dei furfanti nostrani, i vicini di casa, i fascisti di ieri ed i caciottari di oggi, privi anche della coerenza ideologica di quelli. Ripensò a Carlo Levi e a quel suo “libro della guerra civile che continua ancora”: Cristo si è Fermato ad Eboli.

Il furto della Pinacoteca, si disse, non è che un altro episodio di quella stessa guerra.

Onestamente non possiamo dire se furono proprio queste o altre più amare, le considerazioni che passarono nella mente del nostro viaggiatore. Si limitò a dire, ricorda Giordano, - Palazzo deve avere la sua Biblioteca-. Ripartì la stessa sera per Roma, destinazione Boston.

L’episodio, per quanto commovente, fu presto dimenticato, anche perché in quegli anni,1955-1965, un nuovo movimento migratorio lacerò, ancora una volta, il tessuto sociale dei paesi lucani e con questo i comuni ricordi, gli affetti, ciò, in breve che si definisce l’identità locale. Giuseppe Mucciante, questo il nome da ragazzo del nostro protagonista, morì di lì a non molto, era già innanzi con l’età all’epoca della sua rapida visita al paese natio. Il 1978, proprio quando più nessuno vi sperava, arrivò una pioggia di soldi su alcuni cittadini di Palazzo S.G. e sulla stessa Amministrazione Comunale. Nel Testamento, a firma della moglie Mary Agostine, si destinava la somma di un milione di dollari per l’istituzione in Palazzo San Gervasio, di una biblioteca intestata a “ Joseph and Mary Agostine Memorial Library ”. Ben due testamenti, con uguale contenuto, toccano, a distanza di ottant’anni, questa collettività nel Nord-Est della Basilicata, se in ciò bisogna vedere un segno del destino o altro, decida chi legge. biblioteca


Oggi la biblioteca è stata inaugurata presso l’ex piazzetta coperta, locali ristrutturati per l’occasione, e quel ragazzetto che era partito da Palazzo San Gervasio ha visto realizzato il suo sogno!

La storia di Palazzo San Gervasio

Palazzo S. Gervasio è una cittadina di origine normanna, che deve la sua fondazione ai privilegi offerti da Drogone d’Altavilla e che si è sviluppata intorno al Palatium, costruito da Roberto il Guiscardo nel 1050, o dal nipote del Guiscardo Ruggero II nel 1140. La prima fonte storica parla di un casale dipendente dall’Abbazia della Trinità di Venosa ed è datata 1082 anche se sono evidenti le preesistenze preistoriche ed alto medievali. Il Palatium fu chiamato S. Gervasio dal nome del santo cui era dedicata la chiesetta di Cervarezza, uno degli antichi villaggi della zona. Il nucleo più antico del rione Spirito Santo possedeva una chiesa dedicata ai martiri Gervasio e Protasio, menzionata in due bolle papali dell’inizio del XII secolo. Studiosi e viaggiatori delle epoche successive, come Racioppi, Douglas, Malpica e altri, hanno definito “storiche” le acque di Palazzo, sia per la Fons Bandusiae, celebrata nei versi di Orazio (nei pressi della quale sorge la summenzionata chiesa), sia per il torrente Valero, dove secondo la leggenda, sarebbero state sepolte le spoglie del console romano Valerio; sia per l’acquedotto, fatto costruire da Erode Ateniese (36 km), che convogliava le acque della Fontana Grande, dai piedi del Palatium, a Canosa in Puglia. Una via centrale è dedicata al console romano Marcello, caduto in uno scontro con i cartaginesi di Annibale in Contrada Casaleni (208 a. C.).

Il corso principale del paese è invece dedicato a Manfredi. La tradizione vuole che fosse percorso dal sovrano per recarsi dal Palatium alle famose scuderie. Alla morte di Manfredi (1266) il re angioino Carlo I trasformò il tenimento di S. Gervasio in una Difesa della Basilicata, ma solo nel 1316 col re Roberto d’Angiò viene citato esplicitamente in un documento l’esistenza di un centro abitato denominato Terra o Villa Sancti Gervasii. Per circa un secolo la zona visse una fase di decremento demografico e di recessione economica, a seguito della grande peste del 1348.

La Regia Difesa di San Gervasio divenne feudo durante il regno di Giovanna I d’Angiò e il territorio fu chiamato Tenimento di Palazzo San Gervasio con il Castello. Il feudo ebbe una storia tormentata, con una significativa fase di sviluppo dell’economia locale, particolarmente florida nel XVIII secolo. Si avvicendarono vari feudatari: la contessa Ruffo, il Marchese di Rende, il Marchese Caracciolo di Castellaneta, il Principe di Bisignano, il Conte d’Alife, il Marchese della Valle Siciliana, la Marchesa di Lavello fino ai Cattaneo di Genova e al Marchese di Genzano De Marinis, anch’egli genovese, di origine spagnola. Nel 1544 risulta completata la costruzione della Chiesa Matrice nei pressi del Castello, nel 1589 nella Galleria delle Carte geografiche dei Musei Vaticani, Antonio Banti riporta sulla Carta della Lucania il centro abitato di Palazzo. Un documento del 1595 certifica che il Casale San Gervasio è dichiarato Municipio o Università.

Continui gli abusi e le usurpazioni a danno dei cittadini nel corso dei secoli della feudalità (fino alla clamorosa sentenza della Commissione feudale del 1810, che, tratta in inganno da falsi documenti prodotti dal marchese De Marinis, sottrasse ai cittadini la colonia sui Casaleni e sui Castellani e gli usi civici sulle altre contrade boscose). Spaventose le frequenti epidemie, colera, malaria e peste che colpirono, aggravandole, le già precarie condizioni delle abitazioni. Nel 1799 Palazzo fu uno dei primi comuni a piantare in piazza l’albero della libertà e ad aderire alla Repubblica Napoletana, subendo per questa ragione, la dura repressione sanfedista: incendi, saccheggi e violenza che sfociarono nella morte di alcuni patrioti giacobini. Nel 1809 Palazzo subì un violento attacco da parte di due colonne di briganti, fermati in Via Difesa dalla Milizia Civile, dagli ausiliari e da una pattuglia di Cavalleggeri francesi. La sconfitta del Comune nella lite giudiziaria con il marchese De Marinis ridusse il paese alla fame. La crisi economica e sociale drammatica durò per almeno trent’anni. Le inevitabili conseguenze furono le periodiche occupazioni violente delle terre, l’assalto alle Difese ex feudali e gli incendi dolosi.

Palazzo San Gervasio è un paese della Basilicata orientale, che sorge nei pressi dello spartiacque tra i fiumi Bradano e Ofanto ed è considerato il principale centro dell’alto Bradano. Confina a Nord con il territorio di Montemilone, a Sud con l’agro di Banzi, a Ovest con il Vulture, in particolare con i centri di Venosa e Maschito, la più pregiata zona di produzione dell’aglianico, a Est con la Puglia, con il territorio di Spinazzola.

La collina su cui sorge il paese è a 483 m. sul livello del mare e domina un paesaggio molto ampio che si estende tra i rilievi del Vulture e delle Murge. Il territorio di Palazzo risale all’era Quaternaria, circa un milione di anni fa; esso era un tempo ricco di foreste e di selvaggina.

Nel 1860 il tenimento di Palazzo aveva ancora un’estensione di 2385 ettari; dal disboscamento, effettuato in epoche diverse e in particolar modo dopo l’unità d’Italia, si è salvato in parte il bosco di S. Giulia, mentre le altre contrade sono oggi tutte coltivate e irrigue.

In passato dava buoni risultati all’economia locale la coltura della canapa, del cotone, del lino e della senape e varie qualità di cereali, come la rossia, la maiorica e la bianchetta. Tra le uve primeggiavano l’aglianico, l’uva di Troia, il moscadellare e lo zibibbo e la malvasia. Diffusissima la pianta del gelso, introdotto intorno alla metà dell’800, cui era collegata la bachicoltura. Nel secolo scorso era molto praticata anche l’apicoltura con relative produzione e commercializzazione di miele di ottima qualità. Tradizionali anche la produzione e il commercio di carni, salumi, latticini e formaggi.

Attualmente le colture più rilevanti sono quelle dei cereali, degli ortaggi e in particolare del pomodoro, della barbabietola da zucchero, del tabacco, del formaggio, della colza, della vite e dell’olivo. Numerosi gli alberi da frutto, le piante selvatiche ed ornamentali, le “piante medicinali” e le specie di funghi.

venerdì 5 marzo 2010

Vecchie mura

Vecchie case
strade strette
della mia cittadina!
Incastonate a grappolo
lassù, sulla collina
tra luci ed ombre
vincete la paura...
Fra pieni e vuoti
gioca incessante il sole
cementando
in ogni pietra,
in vostro amplesso
a catena...
Mal celati,
su rugosi volti
i rimpianti,
scrigni aperti di storia
che nel sordo lamento
non fecero storia...
Inaridita, la linfa,
prese il mare
l'antica pazienza;
nel fardello
la riposta speranza...
su una scia spumosa,
lacrime ancora...
Fiduciosi sogni,
sorrisi spenti.
Nelle reliquie,
sopravvive ancora
il canto,
fra quelle mura...
nel rintocco vibrato
di una campana
nel vocio indistinto
nel cicaleccio
nel ronzio di un ape
che, pregando
fa da spola,
nel verde prato,
fra tante croci,
su rose rosse
più lontano...
...a valle.

Mimmo Festino

Alla mia donna

Donna
quando ti stringo la mano
ilmio viso va in fuoco e fiamme
e negli occhi trema una scintilla
e quella scintilla è l'apice dell'amore.

Donna
quando negli occhi ti guardo
così scuri,
così oscillanti,
vedo il fuoco della perfezione.

Donna
quando il vento ti accarezza
sei così bella
che io vorrei essere il vento
e quando fa freddo il fuoco
che ti riscalda.

Perchè tu sei il mio idolo
e l'atmosfera è così calma.

Festa della donna

"Al tuo essere donna... al tuo essere così speciale..."

Venerdì 05 Marzo 2010 20:24

L'istituzione Joseph and Mary Agostine, in collaborazione con "Il Circolo Culturale Femminile" di Palazzo San Gervasio in occasione della Giornata internazionale della donna organizza un incontro pubblico. Lunedì 8 Marzo 2010 ore 18,00 presso la sala convegni della Biblioteca Comunale di Palazzo San Gervasio

La Pinacoteca e Biblioteca "Camillo d’Errico"

Nei racconti di mare si narra spesso di naufraghi su isole deserte che affidavano, la propria richiesta di aiuto, ad un messaggio chiuso in una bottiglia e lanciato in quello stesso mare che aveva affondato la nave. La speranza, remota, era, che le correnti marine lo facessero giungere in mani amiche; quantomeno misericordiose. Lo scopo di questo messaggio, lanciato nel mare, molto più vasto di INTERNET, è uguale e si rivolge a tutti quegli uomini che non si rassegnano, per un senso elementare di giustizia, alla vergogna del sopruso e della violenza. La nostra speranza è che trovi approdo proprio in quelle coscienze!

"É mia assoluta volontà ancora che l'intero palazzo di mia attuale e costante abitazione, nel quale visse e mori il mio adorato e compianto genitore, e nel quale si contengono tanti preziosi dipinti, opera di celebrati pittori e tanti libri tutti da me acquistati, rimanga esclusivamente destinata per uso di Biblioteca e Pinacoteca nel modo come si troverà all’epoca del mio decesso. La Pinacoteca e la Biblioteca saranno in perpetuo alloggiate nel detto mio palazzo di abitazione come ora lo sono".

Con queste parole Camillo d'Errico destinava, con il suo testamento segreto, letto il 2 novembre 1897, due giorni dopo la sua morte, la più grande raccolta d’arte privata del Meridione: 298 tele del XVII e XVIII sec., 500 stampe dello stesso periodo, 8.000 volumi delle sua biblioteca (alcune serie uniche al mondo), più due palazzi prospicienti, alla collettività di questo paese. Camillo d'Errico fu uno dei più illuminati esponenti della sua famiglia, di nobili e antiche origini, proveniente da San Chirico nel Lagonegrese. Sindaco di Palazzo nel periodo postunitario, favorì il miglioramento delle condizioni di vita dei suoi concittadini con una serie di provvedimenti: introdusse l'illuminazione elettrica (uno dei primi comuni del Sud a esserne dotato); sistemò le strade; ampliò il cimitero; fondò una biblioteca comunale nel 1893.

Camillo d'Errico non fu, però, soltanto un brillante amministratore, ma è soprattutto un cultore dell'arte e del sapere. La grande raccolta dei dipinti da lui allestita si arricchiva di quadri provenienti sia dal Castello di Palazzo “Palatium Regium” sia da Napoli. La sua pinacoteca annovera tele tra cui opere della scuola napoletana di Salvator Rosa, Massimo Stanzioni, Luca Giordano, Micco Spadaro; della scuola romana di Guido Reni, Carlo Dolci, Carlo Maratta; della scuola bolognese del Guercino e i fratelli Agostino e Annibale Caracci; della scuola fiamminga di Antonio Van Dick, Pieter Brueghel il Vecchio, Pieter Snayers; della scuola spagnola di Diego Rodriguez de Silva y Velásquez e josé de Ribera detto lo Spagnoletto. Non mancano, infine, dipinti delle scuole francese e tedesca. La biblioteca contiene circa 8.000 volumi, fra cui stampe e cronache antiche, testi letterari, giuridici e storici, appunti sulla storia delle chiese presi e mai utilizzati; le carte di famiglia ordinate in un archivio ricchissimo, depauperato, però, dal tempo, dall'incuria e dai numerosi trasferimenti del materiale.

In ossequio a quella illuminata volontà e seguendone le disposizioni, l’allora Governo Italiano, con Regio Decreto n. 963 del 19 luglio 1914, provvedeva all’istituzione dell’Ente Morale “Biblioteca e Pinacoteca Camillo d’Errico”. Il successivo Decreto, n. 1926 del 16 dicembre 1915, ne approvava lo Statuto. Atto, quest’ultimo, che affida la gestione dell’Ente Morale ad un Consiglio di Amministrazione, presieduto dal Sindaco di questo Comune. Il 1939, adducendo ragioni di sicurezza, con legge n.1082 del 13 luglio 1939 cui seguiva Regolamento di esecuzione (R.D. 2 ottobre 1940, n.1588) l’allora Ministero dell’Educazione Nazionale, Giuseppe Bottai, disponeva lo spostamento dell’ingente patrimonio nella città di Matera. Questo quanto risulta dagli atti ufficiali. Esaminando però il numeroso carteggio, all’epoca intercorso tra i protagonisti della vicenda, la questione assume ben altro aspetto. Si trattò, in effetti, di un piacere reso dal Governo dell’epoca, ai gerarchi lucani: non avendo mezzi finanziari per mandare il chinino alla città di Matera dove, come riferisce in Cristo si è fermato ad Eboli, un certo Carlo Levi, turista lì non certo per caso, i bambini morivano come mosche a causa della malaria, gli inviarono i quadri ed i libri della raccolta d’Errico. Poggia su queste nobili premesse l’aspirazione della città di Matera a porsi come città d’arte e di cultura: bambini mai diventati uomini e uomini ancora oggi violati nei lori diritti inalienabili, (chissà cosa ne penserebbe l’UNESCO?).

Poiché tuttavia si tratta di una legge, la 1082/39, chiaramente in violazione del diritto testamentario, inviolabile nei paesi civili, più volte, nel dopoguerra, si fu vicini al ritorno della Pinacoteca nella sua sede naturale: qui a Palazzo San Gervasio, in Corso Manfredi, dove la volle Camillo d’Errico. Il 1958 l’allora Ministro proibiva al direttore del Ridola, museo materano di esporre i quadri della raccolta, perché dovevano ritornare a Palazzo S.G., il 1975 il Ministero finanziava addirittura il restauro della sede della Pinacoteca. Non se ne fece mai niente da un lato per l’opposizione della città di Matera, un suo Sindaco, tal Pasquale Lamacchia giunse a minacciare barricate, dall’altro per l’atteggiamento politicamente compiacente, quando non complice, di molti amministratori locali che, sull’apparente disinteresse per la questione, costruivano le loro fortune politiche e personali. Finalmente, in un momento di debolezza della politica, l’allora Amministrazione Comunale, il 1996, messe da parte le petizioni e le invocazioni sterili, fece le due uniche cose sensate e concrete da farsi per risolvere il problema. Per prima, cercò, una soluzione di diritto alla controversia, rivolgendosi al Tribunale, poi di dare una sistemazione decorosa alla sede della Pinacoteca, restaurandola.

Infatti mentre la sede della Pinacoteca è stata restaurata sin dal 1999, grazie ad un finanziamento frutto di un avanzo di bilancio realizzato il 1997 ed a un progetto esecutivo approvato lo stesso anno, positivo è stato il giudizio dinanzi al Tribunale Civile di Potenza, con sentenza 121/06, il Giudice dott. Giuseppe LO SARDO, operante nella qualità di Giudice Unico, ha emesso la seguente sentenza nella causa iscritta al n.1423/97 R.G., avente ad oggetto la rivendicazione di universalità mobiliare e vertente Tra la “BIBLIOTECA E PINACOTECA CAMILLO d’ERRICO”, ed il MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA’ CULTURALI, con sede in Roma. Al P.Q.M. il Tribunale di Potenza Condanna il Ministero dei Beni e delle Attività culturali alla restituzione della Biblioteca Pinacoteca “Camillo d’Errico” in favore dell’Ente Morale Camillo d’Errico.;

Dopo sessant’anni di controversie GIUSTIZIA E’ STATA FATTA.

Oggi presso il palazzo d’Errico sono in atto dei lavori di miglioramento, poiché il 2004 la Soprintendenza di Potenza ha inteso adeguare la sede museale palazzese, con un impianto di climatizzazione adatto al mantenimento climatico dei locali che custodiranno le pregiate opere. Detto lavoro verrà concluso dopo un ritardo tecnico di quasi un’ anno e mezzo entro giugno 2008 come assicurato dal direttore dei lavori.

Il 05 marzo 2008 l’Ente Morale Camillo d’Errico è stata accolta ufficialmente nella fondazione Euro mediterranea Anna Lindh per il “Dialogo tra le Culture”, con sede nelle Biblioteche Alessandrine in Egitto. Questo primo grande riconoscimento da lustro non solo a Palazzo San Gervasio ma a tutta la regione Basilicata, il nuovo consiglio d’amministrazione dell’ente morale apre le porte non solo all’Italia, ma a tutto il bacino euro mediterraneo per far visionare il proprio patrimonio artistico nel circuito culturale europeo.
E’ Notizia del 10 marzo 2008 che tre consiglieri Regionali della Basilicata, Rocco Vita, Marcello Pittella e Franco Mollica Hanno depositato in consiglio Regionale un progetto di Legge sulle Norme per la valorizzazione della Biblioteca Pinacoteca Camillo d’Errico.

Ora Palazzo San Gervasio attende che la Regione Basilicata riconosca il valore della collezione d’Errico finanziando il P.d.L. suddetto per far si che finalmente le volontà del Cavalier Camillo d’Errico sia esaudite.