Scritto da Antonio Scardinale - www.palazzosangervasio.net
Giovedì 15 Luglio 2010 21:25
PALAZZO S.GERVASIO (POTENZA) – C'è un nome che dalle parti di Palazzo San Gervasio, in Lucania, vogliono tenere lontano: è quello di Rosarno. Ma l’ombra che il nome di questa località evoca è insistente. A Palazzo, ogni anno, tra agosto e settembre arrivano centinaia di immigrati, attirati in questo lembo di Sud tra Lucania e Gargano dai pomodori maturi, pronti per la raccolta. E dal 1999 ad accoglierli trovano un capannone, una piccola palazzina e 15mila metri quadri di terreno con una tensostruttura. Un complesso che doveva ospitare un centro fieristico e si è trasformato invece in un rifugio di fortuna, dove, con una capienza massima di 250 persone, se ne ritrovano stipate 600, 1.000, nelle fasi di punta anche 1.400. In quest’area convergono anche tanti lavoratori impegnati nei campi pugliesi. Sono uomini che vengono dal Marocco, dall’Ucraina, e poi Tunisia, Cina, Moldavia. Passano di qui prima di andare a raccogliere le arance in Calabria e in Sicilia. Nelle maglie di questo meccanismo trovano spazio tanto lavoro nero e la piaga del caporalato, italiano e straniero. Il Comitato Schengen ha deciso di accendere un faro su questa situazione e oggi è andato in missione sul posto. Perché «bisogna evitare una nuova Rosarno», ha detto la presidente Margherita Boniver. Con lei c'erano il vice presidente, Ivano Strizzolo (Pd) e Vincenzo Taddei (Pdl), deputato lucano, anch’egli membro del Comitato, che chiede anche alla Regione Puglia di prendersi le proprie responsabilità. «Qui non c'è un problema di ordine pubblico», hanno sottolineato tanto il prefetto, Luigi Riccio, quanto il questore, Romolo Panico. In effetti, non ci sono attriti tra la popolazione e i lavoratori stagionali. Ma è anche vero, come ricordano le stesse forze dell’ordine, che lo scorso settembre tre immigrati sono rimasti feriti, accoltellati in una rissa tra etnie scoppiata nel campo. Un campanello d’allarme che allora non ha fatto rumore. I fatti di Rosarno, con il cittadino del Togo ferito e le violente manifestazioni che seguirono, non erano ancora accaduti. Ora quell'ombra pesa. A Palazzo la situazione è diversa, il centro non è contiguo al paese. Ma è comunque esplosiva: i servizi sanitari sono del tutto insufficienti, gli immigrati si ritrovano a dormire in tende e all’aperto. C'è chi togli i rubinetti ai lavandini e vende l'acqua. «E' una situazione limite», sintetizza il questore, preoccupato soprattutto per il rischio incendi. Tra due settimane, quindi, se il centro aprirà, sarà di nuovo emergenza. Un’emergenza che si ripete da 11 anni. Per ora infatti, il campo è chiuso. Lo ha disposto il sindaco, Federico Pagano. Ma ora, con gli immigrati che stanno arrivando e senza un’alternativa, dice che lo riaprirà e nel contempo, ritenendo impossibili da rispettare le disposizioni arrivate dalla Regione per gestire l’area, si dichiara pronto a lasciare spazio a un commissario ad acta. Dalla Regione, in questi anni, sono arrivati anche circa 800 milioni. Centellinati anno per anno, lamenta però il primo cittadino, così da rendere impossibile un intervento risolutivo. È il rimpallo delle responsabilità. La Caritas e le associazioni di volontariato si chiedono che fine abbiano fatto quei soldi e nel contempo hanno dato la loro disponibilità a gestire in comodato d’uso gratuito l’area. Ma per ora senza risposta. C'è poi un’altra parte in causa, centrale: le imprese agricole, che «dovrebbero fare la loro parte, anche attraverso le organizzazioni di categoria», ha sottolineato Strizzolo. Ma oggi gli enti del mondo agricolo, pure invitati dal Comitato, praticamente non si sono viste.
Fonte: La gazzetta del Mezzogiorno
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